Il nome dell’uomo è ancora riservato ma questa storia ha dell’incredibile: un cittadino svizzero rischia fino a 8000 franchi di risarcimento, più una multa da mille per aver messo un like su Facebook. A tanto ammonta la cifra che potrebbe dover pagare se sarà riconosicuto colpevole di diffamazione per aver fatto like (e dunque, secondo l’accusa, contribuito a diffondere) otto post nei quali si accusava Erwin Kessler, il presidente di un’associazione ambientalista, la Vereins gegen Tierfabriken, di razzismo e antisemitismo. Alla base dell’ accusa di diffamazione c’è, il fatto che, per come funziona Facebook, con il suo like l’uomo ha contribuito ad alzare il ranking del post e a renderlo visibile a più persone: secondo Kessler e i suoi avvocati, poi, una condanna sarebbe indispensabile per dare un esempio concreto di come sia importante non approvare o pubblicare contenuti con leggerezza sui social, dal momento che in alcuni casi quello che finisce sui social potrebbe ledere l’immagine di altri.
Diversa la posizione che, in sede di dibattimento (sarebbe dovuto cominciare ieri, ma è stato rinviato) terranno gli avvocati difensori che, con ogni probabilità faranno appello non solo al fatto che l’imputato si è limitato a gradire i post e non li ha né scritti né condivisi, ma anche al fatto che in passato Kessler era già effettivamente stato accusato, nel 2015, di avere contatti con ambienti di estrema destra, negazionisti e razzisti. Sebbene si tratti di un processo insolito non si tratta del primo caso in cui quello che si fa su Facebook conduce a un processo o persino al carcere.
Secondo Associated Press, per esempio, nel solo 2015, in Russia, sono finite in prigione 54 persone con l’accusa «di incitamento all’odio» dopo aver condiviso o scritto (o appravato o condiviso) post offensivi sulle loro pagine social. In Thailandia, sempre nel 2015, un ragazzo di 27 anni, Thanakorn Siripaiboon, è stato arrestato (e condannato al carcere per un periodo di detenzione che può arrivare fino a 37 anni) per aver deriso su Facebook il cane del suo re, mentre altre due persone sono state condannate per lo stesso reato a 28 e 30 anni di carcere.