È uscita da qualche mese su Netflix la miniserie “Un inganno di troppo”.
Dopo che il marito Joe, interpretato da Richard Armitage, viene ucciso con un colpo di pistola, Maya (Michelle Keegan), lotta per tenere insieme i pezzi della sua vita.
Questo significa destreggiarsi tra l’affidamento esclusivo della figlia e il suo lavoro di addestratrice di piloti di elicottero, senza contare che deve fare i conti con l’irascibile e ricca famiglia di Joe. Tra i suoi membri ci sono la madre di Joe, Judith, la matriarca della famiglia che non ha mai accettato la storia d’amore del figlio, e il fratello e la sorella di Joe, Neil e Caroline.
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È difficile dire quanto sia contorto e poco plausibile Un inganno di troppo. La trama comprende un informatore militare, un poliziotto che ha strane crisi epilettiche e un caso di suicidio.
La serie è solo l’ultima puntata del lungo accordo di Netflix con lo scrittore americano di gialli Harlan Coben, che ha adattato ben 8 dei suoi romanzi per il servizio di streaming. La ragione principale del suo successo è probabilmente il fatto che si tratta di un adattamento di Coben. E non solo perché il prolifico scrittore ha una fanbase consolidata. È un maestro nell’attirare l’utente in un mistero che si allarga man mano che la trama si infittisce con numerosi colpi di scena prima di arrivare a un finale molto soddisfacente.
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Infatti la parte migliore di Un inganno di troppo è proprio il finale. Perché è allora che si può guardare indietro e apprezzare davvero come questa serie tragga in inganno. Inganna dai primi minuti del primo episodio facendo pensare che si tratti di uno stratagemma del marito per fingere la sua morte. E tutti gli episodi successivi ingannano gettando addosso una trama insensata dopo l’altra, sperando che questo riesca a trattenere abbastanza da guardare l’intera serie. In un certo senso ha funzionato. Anche se si finisce a guardare Un inganno di troppo non per la storia o per la protagonista. Si prosegue nel binge watching per i personaggi secondari o di contorno.