Per Geolier il 2024 sarà un anno d’oro: siamo infatti già alla terza data consecutiva allo stadio Maradona di Napoli, con le prime due che sono andate tutto esaurito.
Non era mai successo che un rapper napoletano riempisse per tre volte il tempio del calcio della sua città. Un trionfo che Geolier di certo non si aspettava: “Vorrei che i tre concerti fossero una festa di Napoli, di tutta la città. I tre stadi sono per me un’emozione troppo grande, è incommensurabile, mi sembra tutto assurdo”.
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E a questo dobbiamo aggiungere la sua presenza al Festival di Sanremo con il brano “I p’ me, tu p’ te”.
Ma di cosa parla il suo brano? Racconta la fine di un amore: “I p’ me, tu p’ te significa ‘io per la mia strada e tu per la tua’. Significa anche il rispetto che si deve comunque avere per il partner quando non c’è più amore, quando è il momento di separarsi, è in quel momento che serve il rispetto reciproco”.
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Una canzone per cui ha dovuto aspettare il via libera di Amadeus perché al limite con il regolamento: “Il pezzo è nato per Sanremo quando Ama mi ha concesso di poter portare il brano in napoletano, io non riuscirei mai a scrivere e tanto meno a cantare un pezzo in italiano, almeno finora è stato così”. Geolier è fiero di dove è riuscita ad arrivare Napoli: “Andare al Festival a cantare in napoletano è una grande responsabilità, è una cosa storica, anche per il periodo che stiamo attraversando: Napoli ha seminato e ora stiamo raccogliendo i frutti, la città è sempre stata piena di arte, ma nessuno se ne era ancora accorto. Da fuori sembra che Napoli sia solo Gomorra, però penso che abbiamo cose più belle da raccontare. Per me essere arrivato al Festival è già una vittoria, adesso può succedere di tutto, perché quello che volevo fare l’ho già fatto”.
Il rapper spera che il suo non sia un punto di arrivo, ma un inizio: “Il mio sogno è vedere Guè e Marracash a Sanremo, tutti i rapper all’Ariston. Io da rapper mi sento un giornalista, per fare musica scendo e racconto quello che c’è in strada. Sono nato a Napoli, a Secondigliano, ho visto tanti film, mio padre mi ha sempre insegnato a vederli anche nel finale, perché la mafia nel film fa i soldi ma nel finale c’è sempre un morto o qualcuno che finisce in carcere”.
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E proprio sulla sua vita a Secondigliano, ha spiegato: “A 8 anni facevo il cottimo, a casa lavoravamo la minuteria dei lampadari. Vita di strada ne ho vista tutti i giorni, la musica è sempre stata la mia bolla, mi ci tuffavo per creare un futuro per me e per le persone che come me non ne avevano, il mio obiettivo era anche di toglierne alcuni dalla strada e di poter continuare a vivere così. Insomma, la mia idea della musica non è mai stata solo arrivare a fare gli stadi”.
Ora però è arrivata la notorietà, con tutto ciò che ne consegue: “È bella, mi chiedono se dopo una giornata di promozione sono stanco, ma stanco è il muratore che si rompe la schiena non io che sto lì a fare le foto. Chi mi ferma per la strada non mi infastidisce: quando esco, dopo aver lavorato in studio, sono consapevole che devo fare le foto, le persone per strada mi trattano come uno di famiglia, la gente sa che mi ha creato e anch’io lo so, c’è la piena consapevolezza di questo”.