In un’intervista al «The Guardian», Ruby Rose parla dell’aggressione subita quando era adolescente dopo essersi dichiarata lesbica, di quando girava l’Australia insieme a sua madre senza un soldo e di come adesso si senta finalmente libera di essere sé stessa.
Il suo ruolo in Orange Is the New Black ha messo in primo piano la sua androginia distintiva, sfidando le concezioni più tradizionali della sessualità; il suo ingaggio come Batwoman l’ha resa il primo personaggio di supereroi gay in una serie tv, e ora, nel film d’azione SAS: Red Notice, eccola presentarsi come donna libera e gender-fluid, sovversiva e imprevedibile.
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Nata a Melbourne nel 1986, unica figlia di Katia Langenheim, madre single di 20 anni, Rose lotta fin da subito con la sua identità di genere: «Mi piaceva stare con tutti i ragazzi e, in un certo senso, mi vedevo come uno di loro» dice. Quando le lezioni di sport erano divise in base al sesso, non riusciva a capire perché dovesse giocare con le ragazze. A casa, provava a rendere il suo aspetto più maschile, pettinandosi i capelli come Superman. Ha anche stretto i suoi seni con delle bende: «Per molto tempo ho pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato in me, o che non corrispondessi al genere che ero», dice. «Ci sono voluti anni, ma alla fine sono arrivata al punto in cui mi sono detta: “Ok, penso di essere molto androgina e molto in sintonia con l’energia maschile”».
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IL COMING OUT:
Rose si è dichiarata lesbica a 12 anni: la mamma non era sorpresa, ma i compagni di scuola la pensavano diversamente. «È stato orrendo» spiega Rose ricordando quando sulle pareti del bagno qualcuno scrisse «Odiamo Ruby». Allora lei si nascondeva in biblioteca, evitando la piscina perché temeva che le altre ragazze l’avrebbero accusata di spiarle negli spogliatoi: «Sono stati piccoli momenti di bullismo come quello che mi hanno fatto sentire incapace di essere me stessa». Il momento più grave, però, arriva nel pieno dell’adolescenza e costringe sua madre a trasferirla in un’altra scuola: «Sono stata picchiata da quattro ragazze e da un ragazzo di fronte a circa 50 persone. Mi hanno colpito alla testa con delle sedie di metallo in un bar e mi hanno lanciato addosso delle cose, mi hanno presa a pugni». Quando si è fatta coraggio per sporgere denuncia, qualcuno le ha consigliato di non farlo perché sua madre non aveva i mezzi per condurre una battaglia legale, ed era anche molto preoccupata per l’impatto prolungato sulla salute mentale della figlia che, quando aveva 12 anni, ha tentato diverse volte il suicidio.
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Oggi Ruby Rose riceve ancora messaggi da persone che hanno assistito a quell’attacco e si scusano per non essere intervenute: uno le ha scritto di avere ancora degli incubi da quella notte, ma l’attrice sembra ormai oltre tutto questo.