Costretti a sfilare vestiti da donna dinanzi ai loro compagni d’arme. Quindi martirizzati l’uno dopo l’altro. La Chiesa festeggia oggi, 7 ottobre, i santi Sergio e Bacco, soldati romani convertiti al cristianesimo che rifiutarono di professare il culto a Zeus e pertanto furono mandati a morte atroce. Veneratissimi nei primi secoli dopo Cristo in Oriente e in Occidente, il loro culto è stato rinverdito in anni più recenti dai credenti omosessuali, dei quali sono eletti a santi patroni.
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Quelli che appaiono essere, al di là dei dubbi, i resti mortali dei due martiri sono stati rinvenuti in una chiesa assiro-cristiana di Urmia, nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, attuale territorio iraniano. Protagonista della scoperta è lo scrittore e ricercatore italiano Silvano Vinceti, il quale ne parla per la prima volta all’AGI, corredando le circostanze del ritrovamento con immagini fotografiche esclusive di eccezionale suggestione.
“Sono stato a Urmia, dove ci sono le più antiche presenze cristiane, nell’agosto scorso. L’eccezionale ritrovamento ha avuto luogo in una chiesa del IV secolo intitolata proprio ai santi Sergio e Bacco, dove il loro culto si pratica tuttora essendo aperta ai fedeli”, racconta Vinceti, aggiungendo che lì gli assiriani praticano il rito ortodosso e l’edificio sacro è diviso in due parti perfettamente uguali, l’una dedicata a Sergio e l’altra a Bacco. “Per accedervi è necessario, com’è tipico di quelle chiese, passare attraverso una porticina piccolissima e molto bassa – prosegue – la cui funzione è sia devozionale sia pratica, poiché serviva a interdire l’ingresso dei cavalli nel luogo sacro”.
È stato proprio sulla porta, per la casuale apertura di alcune crepe, che qualche mese prima dell’arrivo di Vinceti furono avviati i lavori di riparazione da cui è sortita la mirabile scoperta. Sulla porta d’entrata, accolti nell’antico legno dell’architrave e avvolti in una stoffa serica in ottimo stato di conservazione, sono state rinvenute le spoglie mortali assicurate da un sigillo plumbeo. “Sul tessuto risulta perfettamente leggibile – prosegue Vinceti – una iscrizione in aramaico antico, che un anziano studioso del posto, uno dei pochissimi ancora in grado di interpretare l’idioma, è stato in grado di tradurci. La scritta afferma che si tratta dei resti mortali dei ‘Servi di Gesù’ Sergio e Bacco. Ed il sigillo apposto non ha soltanto la funzione di chiudere il tessuto, ma di sancire la veridicità di quanto affermato”.
“Un esempio di tolleranza religiosa”
Se il martirio di Sergio e Bacco fu uno dei molti cruenti sacrifici di chi testimoniava la sua fede, il passaggio del tempo non lo ha reso infruttuoso. Vinceti testimonia che in quella zona dell’Iran, malgrado la vulgata dell’intolleranza islamica così diffusa in questi anni di radicalizzazione, si osserva tuttora la pacifica compresenza tra le fedi e i fedeli: “A Urmia e nei dintorni ho assistito a una convivenza rispettosa e amabile fra sacerdoti cristiani e mullah e fra i praticanti dei diversi culti che insistono nell’area. La vista di chiese che si alternano alle moschee, senza alcuna tensione o ostilità fra la popolazione, mi ha commosso – continua Vinceti – e vorrei che ciò fosse testimoniata, in Occidente, a chi si è fatto un’idea erronea o affrettata di tutto il mondo islamico”.
La Passione di Sergio e Bacco è datata sotto Diocleziano, ad opera del tetrarca d’Oriente Galerio Massimino (305-311), delle cui legioni i martiri facevano parte. Secondo alcuni studiosi, sarebbe avvenuta in epoca di poco successiva, sotto Giuliano l’Apostata (361-363), poiché questi usava praticare come punizione la vestizione dei martiri con abiti femminili, allo scopo di umiliarli dinanzi ai commilitoni.
Bacco fu suppliziato a colpi di flagello a Barbalisso, poi Sergio fu decapitato a Rusafa, poco distante dalle rive dell’Eufrate nell’attuale territorio siriano, dove in suo onore – dopo fenomeni tramandati come prodigiosi – gli fu eretta e intitolata una città: Sergiopoli. L’imperatore Giustiniano avrebbe successivamente edificato in onore dei martiri una chiesa, poi diventata moschea, nell’attuale Istanbul. Templi dedicati ai due santi, la cui fede e reciproco amore non vennero meno malgrado le torture e la morte, sono stati eretti in diverse località d’Oriente e Occidente, Roma compresa.