Si intitola “Zero il folle” il nuovo disco di inediti, in uscita il 4 ottobre, di Renato Zero. E di follia, “un paio di ali di scorta (…) ma non solo una via di fuga…”, parla il rivoluzionario artista in una lunga “autointervista” su “Vanity Fair”, a cui regala anche l’immagine di copertina da lui stesso artisticamente rielaborata.
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“La follia è essenzialmente un’alleata… un modo alternativo di far lavorare la mente. Può essere persino una forma d’arte. O un modo paraculo di fottere gli scettici e certi intellettuali convinti che la ‘materia’ sia solo grigia”. Alla vigilia dell’uscita del suo trentesimo disco, e di un tour (già 13 date sold out) che partirà da Roma il 1° novembre e finirà a Bari il 26 gennaio, Zero ha scelto di auto promuoversi… alla sua maniera, con quel pizzico di follia e narcisismo che lo hanno sempre contraddistinto. E così ecco la cover del magazine Vanity Fair, da lui ideata, una molto misteriosa preghiera recitata in video tra le bellezze della sua Roma e un’intervista scritta appunto nei doppi panni di “domandiere” (sua definizione) e “risponditore”.
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Tra i temi affrontati anche quello della solitudine, inevitabile compagna della follia e grande nemica dell’istrionico chansonnier. Non a caso “Mai più soli” è il titolo del primo singolo del disco, già disponibile in radio e nei digital store. “Sempre disponibile al dialogo. Meno incline ai selfie (si scrive così?)”, così si autodefinisce Zero, che al magazine parla della sua lotta alla solitudine: “Tanto amo il “contatto umano” che, se non avessi scelto la musica, avrei piazzato un bel banco alimentare al mercato. (…) Sto poco a casa. Ce n’è un po’ per tutti: sorrisi, carezze. Qualche autografo. Ma soprattutto chiacchiere. Si parla così poco di questi tempi, che io sono un po’ preoccupato. Ma non è che ci abitueremo a questo silenzio? Già: – Ti amo – è una faccetta che sputa cuoricini. Figuriamo un po’ in una intera vita insieme quante faccine dovremo spendere per essere credibili e creduti”. E a “Vanity Fair “svela di aver sofferto molto di solitudine e che il suo obiettivo è quindi quello di potersene andare: “Facendo in modo di non lasciare tracce di solitudine negli occhi di chi resta”. E a questo forse serve la sua follia.
Dei suoi esordi nel mondo dello spettacolo Zero racconta di quando lui e i suoi amici erano “un gruppazzo di esclusi. Di provenienze diverse. Ma tutti con due domicili stabili: il Piper club e i Commissariati”. Trasgressione e lotta alla morale e al falso perbenismo le parole chiave. Ma al largo da certe cattive abitudine, sottolinea Zero, che spiega come anche la stampa li attaccasse e li definisse “generazione degenere! Nullafacenti e parassiti! Depravati e tossici!”. Dalle droghe però lui ha cercato di stare il più possibile lontano: “Più vado avanti e più gioisco nel non essermi perso dietro acidi, polveri, pasticche, e altri parassiti. Qualcuno li chiamò paradisi. Amplificatori della genialità. Delle facoltà sensitive e creative. Uno stato di beatitudine perenne. Finché non persi tanti di quegli amici… “. Ultimo quesito del “domandiere”: che cosa c’è da dimostrare ancora? “I miei anni. Con orgoglio e soddisfazione. È proprio con questa ricchezza di esperienze che il gioco si fa interessante. (…) Oggi ancora scrivo e mi appassiono. Canto, e la voce tiene le note e si presenta ancora integra e genuina. Alla faccia delle piramidi, dei mausolei, del travertino… anche Zero resiste all’usura!”.