L’ufficio delle nazioni Unite ha trasmesso il 15 maggio scorso al ministro degli esteri Moavero Milanesi il risultato di un’istruttoria sulle due direttive di Matteo Salvini indirizzate alle forze di polizia, alla guardia costiera e – in un caso – allo stato maggiore dell’esercito dove si chiedeva di bloccare le navi impegnate nei soccorsi umanitari nel mediterraneo centrale.
Con un durissimo atto di accusa di 12 pagine l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani ha condannato il ministro dell’Interno per la violazione dei diritti fondamentali dei migranti e delle norme internazionali sui salvataggi in mare.
Il rapporto parla di una «criminalizzazione delle organizzazioni della società civile impegnate nelle attività di ricerca e salvataggio» in mare. «Siamo molto preoccupati – si legge nel documento – dall’approccio del ministero dell’Interno contro la nave Mare Ionio (vascello della Ong italiana Mediterranea, ndr) attraverso queste due direttive, che non sono basate su nessuna decisione di autorità giudiziarie. Riteniamo che si tratti ancora una volta di un tentativo politico di criminalizzazione delle operazioni di salvataggio compiute nel Mediterraneo centrale dalle organizzazioni della società civile». Secondo l’agenzia Onu per i diritti umani l’azione del ministero dell’Interno intensificherebbe «il clima di ostilità e xenofobia contro i migranti».
Le Nazioni unite hanno poi espresso una «forte preoccupazione per la bozza del “Decreto sicurezza bis”», che introduce sanzioni per le navi delle Ong. Il rapporto richiama l’attenzione del governo italiano sulle norme internazionali per i salvataggi in mare, che – scrivono i funzionari Onu – sarebbero state violate con le due direttive di Salvini. In questo senso viene richiamato il principio del Place of Safety, il luogo sicuro di sbarco dei migranti naufraghi salvati. «In molti rapporti Onu e di Ong – si legge nel documento – è ampiamente documentata la violazione dei diritti umani per i migranti in Libia, dove sono soggetti a traffico di esseri umani, detenzione arbitraria, tortura e maltrattamenti, violenze sessuali, esecuzioni extragiudiziarie, lavoro forzato e estorsioni». In altre parole, sostiene l’Onu, la Libia non può essere considerata un porto sicuro per lo sbarco dei naufraghi salvati nel mediterraneo centrale.
Le Nazioni unite richiamano anche il principio di non respingimento previsto dalle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo: «Noi concordiamo con il recente rapporto congiunto dell’Ohchr e missione Onu in Libia (Unsmil) dello scorso dicembre che invita la Ue e gli Stati membri, Italia compresa, a riconsiderare l’attuale politica di gestione delle migrazioni nel Mediterraneo». L’accusa, in questo caso, riguarda l’azione della Guardia costiera libica, che opera con «l’appoggio materiale e finanziario del governo italiano e dell’Unione europea». Il nodo riguarda lo sbarco nei porti di Tripoli dei migranti recuperati delle motovedette libiche, azione che viola il principio di non respingimento.
L’agenzia Onu per i diritti umani conclude il rapporto chiedendo al governo italiano di fornire commenti e informazioni relative alle accuse di violazione delle norme internazionali. In particolare viene chiesto al ministro degli Esteri di «indicare quali passi intenda compiere il governo italiano per allineare le politiche migratorie con gli obblighi sul rispetto dei diritti umani» richiamati nella lettera. Una copia del rapporto è stato inviato per conoscenza anche all’Unione europea e al governo libico.