«Giustizia è stata fatta» ha scritto Giovanna Cristina Vivinetto, poetessa e insegnante, licenziata nel 2019 dall’istituto paritario Kennedy, a Roma, perché transgender. Venerdì è arrivata la sentenza del tribunale della Capitale che ha sancito l’illegittimità del licenziamento.
Nel 2018 aveva pubblicato un libro con prefazione di Dacia Maraini. Nel libro, in versi, ha raccontato la sua storia. Da allora ha ricevuto attacchi ed è arrivato anche il licenziamento. Lei non si è data per vinta e ha intentato una causa durata tre anni.
«Il tribunale di Roma ha emesso una sentenza storica, con la quale ha condannato a risarcirmi un istituto scolastico, che mi aveva assunta e licenziata dopo tre settimane nel 2019, riconoscendo a tutti gli effetti la discriminazione di genere come causa scatenante il recesso del rapporto lavorativo stipulato», ha spiegato lei stessa su Facebook.
«Per la prima volta in tribunale è stato riconosciuto il peso specifico della discriminazione di genere all’interno di un rapporto di lavoro, che purtroppo nel nostro Paese è ancora diffusissima e non adeguatamente affrontata. In tutti i modi hanno provato a screditare la mia persona e la mia professionalità. La loro difesa sosteneva non fossi una buona insegnante, nonché persona sessualmente esplicita. Ci hanno provato ma non ci sono riusciti. Le loro testimonianze non sono state in grado di dimostrare il contrario, anzi si sono rivelate utili per rafforzare quanto non fosse la mia mancata professionalità il motivo del licenziamento».
Per l’insegnante è una vittoria personale e collettiva. «Ho vinto. Abbiamo vinto. Un varco è stato aperto ed è da qui che possiamo fare entrare la luce. Sono una docente degna di rispetto. Sono una donna transgender degna di rispetto. Come dovrebbe essere in ogni caso. Sta a noi decidere in quale direzione cambiare la nostra società. Starò sempre dalla parte di chi lotta ogni giorno per i propri diritti, per non vederseli più calpestare».
La battaglia di Michelle: “Licenziata perché transessuale”
La sentenza dice che le dichiarazioni «non appaiono significative di un’effettiva inadempienza della professoressa Vivinetto ai propri impegni didattici». La rescissione del contratto dopo poche settimane appare prematuro «per motivazioni attinenti la scarsa capacità didattica, senza dare alla professoressa la possibilità di ambientarsi e di acquisire piena nozione dei piani didattici personalizzati da applicare ai propri alunni». Quindi secondo i giudici può «ritenersi adeguatamente provato che le ragioni che hanno indotto la società resistente a risolvere il rapporto di lavoro con la Vivinetto siano ascrivibili proprio alla sua condizione di transessuale».