Tra chi si lascia costantemente abbagliare da cose di poco conto e chi è illuminato da ciò di cui vale realmente la pena di parlare, anche quest’anno, puntuale come l’influenza stagionale, si è concluso il Festival di Sanremo, la più importante manifestazione canora del panorama nostrano giunta alla sua 70esima edizione con la conduzione di Amadeus. Polemiche a parte, tutto sommato rimane pur sempre una delle pagine più belle della nostra amata tv, capace tanto di sorprenderci quanto di deluderci e che comunque non smette mai di dare nuova linfa vitale ai palinsesti televisivi.
Questa settimana, però, non mi soffermerò sul vincitore Diodato, che senza far poi troppo rumore, al contrario di quello che lui stesso canta, e inaspettatamente oserei dire, è riuscito a salire in cima al podio, né sulla chiacchieratissima Elettra Lamborghini, tantomeno su Diletta Leotta, che ci ha tenuto a precisare che “la bellezza capita” così come le sue innumerevoli capatine dai chirurghi plastici di tutto il mondo, neppure su quel Fiorello all’occhiello di cui avrei fatto volentieri a meno o su Achille Lauro, che, ripensandoci, si è dimostrato il più grande performer dello scenario musicale italiano e sebbene non sia riuscito ad aggiudicarsi il primo posto, per me il Festival della Canzone Italiana l’ha vinto lui, abbattendo gli schemi di un mondo costantemente intrappolato nei limiti che si autoimpone. A tal proposito, preferisco di gran lunga soffermarmi su Paolo Palumbo, giovane ventiduenne sardo che da quattro anni porta avanti la sua battaglia contro la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), per il bellissimo messaggio lanciato dal palcoscenico del Teatro Ariston attraverso il singolo “Io sono Paolo”. Una canzone di speranza per chiunque si trovi nella sua stessa condizione, per non arrendersi di fronte alle avversità. La malattia neurodegenerativa lo ha privato di tutto, tranne che della voglia di vivere e di lottare. Paolo sicuramente non potrà gesticolare, correre, partecipare ad una gara di atletica o essere ritenuto un grande chef, ma ha conservato quell’umanità, purezza e ingenuità che tutti dovremmo possedere. E in soli dieci minuti è riuscito ad insegnarci quanto non sia importante il tempo che si passa davanti alle telecamere, ma il segno che si lascia, da qui all’eternità, e lui, quel segno, lo ha lasciato. Dal suo coraggio e dalla sua forza d’animo faremmo bene a prendere spunto, perché questa non è la storia “di un ragazzo sfortunato, ma di qualcuno che non si è arreso”!
E se da un lato c’è chi di buoni modelli ne ha da vendere, dall’altro c’è chi in televisione non dovrebbe metterci proprio piede. Morgan, la cui partecipazione a Sanremo è nota giusto per la lite con Bugo, ospite domenica sera a Live – Non è la d’Urso, ha continuato a far sfoggio della sua mancanza totale di educazione e deferenza, incarnando alla perfezione quel cattivo esempio che non andrebbe mai seguito. Anziché sputare fango addosso all’ormai ex-compagno di gara, dando vita ad un nuovo episodio di bullismo, non potrebbe farsi un esame di coscienza?! Caro Morgan, sei tu a dover ringraziare il cielo di aver avuto la possibilità di salire su quell’ambito palco e avresti dovuto portare rispetto a chi te lo ha permesso. Non mi stupirei se tu ben presto finissi con lo strimpellare da solo, a casa, seduto sul tuo divano o magari di fronte allo specchio del tuo bagno. Potrai possedere una grande cultura e conoscenza della musica, ma come disse il grande Totò, “se non hai rispetto, educazione e umiltà”, sei e rimarrai soltanto un pezzente!!!