La sua unica colpa è di aver mostrato pubblicamente i suoi sentimenti, di aver dimostrato davanti a tutti il suo amore. Come fanno tanti ragazzi, che in strada e in piazza si tengono per mano, e poi magari si baciano appassionatamente.
E però, il suo trasporto non era dedicato a una ragazza, ma a un altro uomo. Gay come lui. Tanto è bastato per trascinarlo in un incubo, anche con il terrore di conseguenze fisiche.Sì, un grave episodio di omofobia.
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Perchè il ragazzo è stato inseguito e insultato da due persone a bordo di un’auto che lo hanno minacciato e lo offeso per il suo orientamento sessuale. Protagonista dell’episodio, avvenuto a Pescara giovedì sera, all’indomani della Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia , è un giovane che stava tornando a casa in bici, dopo aver salutato il suo fidanzato con un bacio, sul lungomare della città adriatica. A denunciare la vicenda è l’Arcigay di Chieti.
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I due individui, racconta l’associazione, per cui, tra l’altro, il ragazzo è volontario, hanno assistito alla scena del bacio ed avrebbero subito iniziato ad urlare contro il giovane e ad insultarlo. Non contenti, dopo la prima serie di offese, lo avrebbero inseguito, superandolo e fermandosi più volte per aspettarlo, continuando ad insultarlo. Spaventato, il giovane ha evitato di tornare a casa, per non rivelare il suo domicilio.
Mentre la vittima cercava di contattare i numeri di emergenza, il passaggio di una pattuglia delle forze dell’ordine ha messo in fuga le due persone. Il giovane ha poi deciso di sporgere denuncia: «Si è recato sia in Questura sia dai carabinieri – afferma l’Arcigay – ma gli è stato risposto in entrambi casi che, poiché, a parer loro, non si configurava alcun reato, non potevano fare niente».
Secondo l’associazione, che si è confrontata con l’avvocato Andrea Cerrone, dottore di ricerca in tutela dei diritti fondamentali all’Università di Teramo, il ragazzo «ha subito una vera e propria violenza privata». Un reato, spiega il legale, «procedibile d’ufficio. Se è vero che l’ingiuria è stata depenalizzata – aggiunge l’avvocato – il fatto stesso che il giovane non sia potuto rincasare, a causa delle condotte minatorie dei balordi, configura un caso di scuola di violenza privata e non è escluso che si possano ravvisare anche altri reati. Una denuncia del genere andava raccolta senza se e senza ma». L’avvocato Francesca Di Muzio, penalista e cultrice di criminologia e vittimologia, sottolinea che «il monito, in assenza di una legge ad hoc, è quello di continuare a denunciare al fine di creare dei precedenti giurisprudenziali che possano indicare la strada al legislatore».
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Arcigay coglie l’occasione per «chiedere con forza che, analogamente a quanto ha fatto la Regione Umbria, anche l’Abruzzo si doti di una legge regionale volta al contrasto contro le discriminazioni e le violenze di genere determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere».
Da: Il Secolo XIX