“È un anno che vivo con lui. Non è passato un giorno senza che gli dessi il biberon, che gli cambiassi il pannolino. Ci gioco come un matto, lo nutro, lo curo, lo amo alla follia. Eppure, vivo ancora in un limbo giuridico”. Così Nichi Vendola, in un’intervista al Corriere della Sera rilasciata all’indomani della storica ordinanza della Corte d’Appello di Trento che per la prima volta in Italia ha riconosciuto a 2 uomini la possibilità d’essere considerati padri di 2 bambini nati all’estero grazie a maternità surrogata, un’ordinanza che “è una finestra sulla vita”, per l’ex leader di Sel. “Mentre vedo lo sguardo di mio figlio che mi cerca in ogni momento – dice Vendola – l’idea che io per lo Stato non sia nulla per lui, che non abbia alcuna parentela, è un’idea drammatica. Che può avere conseguenze catastrofiche: io sono privo di diritti nei suoi confronti e lui nei miei”.
Sulla pronuncia di Trento, “Un anno fa era difficile immaginare di imbarcarsi con la richiesta a un tribunale per il riconoscimento della paternità”. Ora “valuterò con i legali, ma so di essere catalizzatore di attenzione morbosa e quindi seguirò il percorso più sicuro”. Per Vendola “quello dell’unione civile e delle pratiche per l’adozione”. Per l’ex governatore della Puglia, “i giudici rimediano alla spaventosa ipocrisia in cui è vissuta un’Italia ostaggio del moralismo elettorale e dell’immoralismo esistenziale“. E a chi gli fa notare di non aver fatto alcuna battaglia politica su questo, “ho fatto un figlio e non mi pare sia passato inosservato – ribatte – Ma il mio primo dovere è tutelarlo. Sono stato una bandiera dei diritti gay, ma non voglio fare di mio figlio una bandiera”.