Da: Raimondo Bultrini per “il Venerdì – la Repubblica”
La transgender uccisa poche settimane fa nel Pakistan del nord-ovest si faceva chiamare Pinky. Sedeva con un amico su un risciò a pedali quando due uomini in moto li hanno affiancati e hanno sparato a entrambi nella città di Peshawar.
Con tono grave e professionale, parecchie centinaia di chilometri più a sud, nella città di Lahore, la notizia veniva data ai telespettatori di Kohenoor Tv dalla prima annunciatrice transgender della storia pachistana, Marvia Malik, appena entrata in servizio con notevole clamore mediatico.
Marvia, appena 21 anni, aveva cominciato ad andare in onda il 23 marzo, pochi giorni prima del delitto, occupandosi anche del caso di un’ altra transessuale di nome Alisha, morta per il tempo perso dall’ ospedale a decidere in quale reparto assegnarla.
Nelle interviste la neo anchor aveva già spiegato che la sua vita, per quanto sembri ora tutto glamour, non è stata diversa da quella dei tanti che subiscono ancora discriminazioni e umiliazioni per il loro aspetto. Seconda di tre figli, Marvia si è sentita ed è stata vista dai suoi stessi genitori e vicini come un’ aliena e a 16 anni venne cacciata da casa per vergogna come accade altrove nel Paese islamico: «A molte di noi non resta altra scelta che fare l’ elemosina, ballare o vendere i nostri corpi».
Marvia scelse l’ alternativa degli studi da estetista, altro impiego rifugio per transessuali, che sono 10 mila secondo il censimento ufficiale, mezzo milione secondo le associazioni degli hijra, come vengono chiamati qui. Marvia si è pagata da sola i corsi di giornalismo, la sua passione, e dopo la laurea all’ Università del Punjab tutto è stato così veloce che si è ritrovata perfino a essere la prima transgender a sfilare sulla passerella di un fashion show nazionale e pochi giorni dopo la prima ad annunciare notizie in tv.
«L’ ho scelta tra altri solo per le capacità professionali» ha detto il titolare della tv, che ha comunque subito visto salire l’ audience. Che la sua storia sia un segnale positivo («Prima sullo schermo facevamo solo le macchiette») lo ammette la stessa Marvia, essendosi sentita accolta più che calorosamente in redazione e sui social. Gli assassini di Pinky e di altri 55 transgender uccisi negli ultimi 3 anni solo a Peshawar sono però ancora impuniti.