A 75 anni di vita e 54 di carriera, Leo Gullotta, che ha appena finito le riprese di un film, «Quel posto nel tempo», dedicato alla demenza senile, parla del Ddl Zan.
«Lo sostengo da tutti i punti di vista. I cittadini, con civiltà e senza violenza, possono alzare il dito e dire di non essere d’accordo, ma devono entrare nel dibattito pubblico. Il nostro Paese ha sempre demandato ad altri, come se volesse solo un uomo al comando: invece, dobbiamo superare queste staccionate e riconquistare il rispetto verso gli altri», ha dichiarato l’attore in un’intervista a Vanity Fair.
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Da dove passano queste staccionate?
«Dal fatto che la politica degli ultimi 30 anni ha fatto nascere una parte cospicua di gente che ha parlato solo alla pancia e mai alla testa. In mezzo a questa mania di protagonismo, ai cellulari e al fotografarsi, non dobbiamo perdere di vista conquiste importanti come il matrimonio civile per gli omosessuali, che per fortuna è arrivato. È stato un passo in avanti, ma adesso dobbiamo farne un altro: la legge Zan, appunto. Che il parlamento dovrebbe promuovere come si deve».
Lei l’unione civile l’ha subito onorata.
«Il problema è sempre che viviamo in un Paese che negli ultimi 30 anni si è basato sull’arte di arrangiarsi, la malattia secolare degli italiani».
Lei si è mai arrangiato?
«No, mai. Da piccolo ho sempre avuto la possibilità di incontrare grandissimi professionisti che hanno fatto sì che il mio compito fosse solo quello di studiare. Oggi è più difficile, anche se il cinema italiano ha prodotto grandi artisti come Favino, Germano, Giallini, Leo, Rohrwacher, persone che ci fanno capire tutti i giorni quanto sia necessario conoscere il linguaggio del palcoscenico, della macchina da presa, del corpo. Come andare a lavorare».