Di solito si pensa che la violenza domestica riguardi solo uomini che picchiano donne ma non è sempre così. La violenza domestica si può verificare e si verifica anche all’interno di una coppia formata da persone dello stesso sesso, con meccanismi e caratteristiche specifiche e riconoscibili, come da alcuni anni hanno mostrato studi, esperienze e ricerche.
Il BuzzFeed ha pubblicato un lungo articolo che raccoglie ricordi e testimonianze di alcune donne che hanno subìto abusi dalla loro compagna e di uomini che li hanno subiti dal loro compagno. Molti altri giornali britannici si sono occupati ultimamente della questione perché Broken Rainbow, un’associazione che offre aiuto nei casi di violenza domestica tra coppie dello stesso sesso e che riceve circa 10 mila chiamate all’anno, rischiava di chiudere per un ritardo nell’erogazione di alcuni finanziamenti pubblici.
Perché se ne parla poco?
La ragione principale è la scarsa conoscenza e il mancato riconoscimento della violenza nelle coppie omosessuali dovuta agli stereotipi che circolano intorno alla violenza domestica stessa. Spesso viene percepita come una violenza tra soggetti “pari”, che non avrebbe lo stesso grado di pericolosità e le stesse conseguenze della violenza che può subire una donna da parte di un uomo o viceversa.
Harvey Barringer, amministratore delegato di Broken Rainbow, ha raccontato degli esempi, piuttosto comuni:
Sul Corriere della Sera, che si occupa anche di questioni di genere, è stato intervistato un uomo di 35 anni, che vive in provincia di Bologna e che ha deciso di denunciare la violenza domestica subita dal compagno:
«Se tornassi indietro non denuncerei più, chiuderei la relazione e basta. È stato troppo umiliante. Alcuni agenti mi hanno detto che avrei dovuto rispondere alle botte del mio ex visto che sono un uomo. Mi sono sentito io quello sbagliato, incapace di difendersi. E il centro antiviolenza a cui mi sono rivolto ha deciso solo dopo una riunione straordinaria di accettare il mio caso: ho dovuto chiamare decine di volte. Poi abbiamo iniziato il percorso, ma con un grande imbarazzo. Ero il primo uomo che vedevano. E che dire delle dichiarazioni che ho rilasciato nell’ufficio del pm, mentre un flusso di persone andava avanti e indietro, sghignazzando per i miei racconti? Credo che le persone e le strutture non siano pronte per storie come la mia. Quando la vittima di violenza domestica è un uomo tutto diventa più difficile. Avrei voluto trovare le istituzioni all’altezza della situazione, invece mi sono solo sentito a disagio».
C’è infine un’ultima ragione del mancato riconoscimento e della poca informazione sul problema: la paura all’interno della stessa comunità LGBTI a far emergere la violenza domestica, per l’idea che si possa aumentare così il discredito nei suoi confronti. Secondo Lettie L. Lockhart, che assieme ad altri ricercatori ha lavorato su questo tema attraverso uno studio sul Journal of Interpersonal Violence: “lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer possono essere riluttanti a denunciare gli abusi, perché non vogliono essere visti come traditori della comunità LGBTI: così le statistiche che arrivano dalle fonti ufficiali probabilmente indicano soltanto i livelli minimi di violenza”. La denuncia di abusi potrebbe insomma esporre al rischio di rafforzare gli stereotipi omofobi. In realtà, come spiegano gli esperti, come dice il buon senso e come confermano i dati, la maggior parte delle coppie omosessuali non sono violente: è la violenza domestica a non avere discriminazioni basate sull’orientamento sessuale.
Ci sono comunque degli strumenti di controllo specifici nella violenza domestica nelle coppie omosessuali. Harvey Barringer di Broken Rainbow spiega che tra coppie formate da persone dello stesso sesso, l’outing come arma di ricatto ha un ruolo molto importante: circa l’85 per cento delle persone che si rivolgono alla sua associazione denunciano un partner violento che utilizza come minaccia il fatto di raccontare a colleghi, familiari o figli l’omosessualità del compagno o della compagna su cui vogliono continuare a esercitare un controllo.
Barringer ha individuato altre caratteristiche specifiche della violenza domestica tra persone LGBTI, dicendo che sono in aumento: la positività all’HIV viene usata come forma di ricatto, in un doppio senso. O si minaccia di rivelare agli altri la sieropositività del partner che si vuole controllare o gli si impedisce di prendere i farmaci necessari alla cura. Quest’ultimo fenomeno si verifica anche per i trattamenti ormonali a cui un partner transessuale deve costantemente sottoporsi.