Il risultato dell’esame sul Dna chiuderà formalmente la storia di Cloe Bianco.
Ma l’ex docente transgender la propria fine, con il fuoco appiccato al camper in cui viveva, l’aveva scritta e progettata da tempo. Lasciando addirittura in un blog le proprie volontà testamentarie, e descrivendo, come in una poesia triste, i momenti che l’avrebbero portata al suicidio. Il suo cadavere carbonizzato – manca solo l’esito del test genetico – è stato ritrovato sabato scorso in un furgone incendiato a lato della strada regionale tra Auronzo e Misurina (Belluno).
Secondo quanto è stato possibile ricostruire, è stata la stessa Bianco a dar fuoco al veicolo che usava come abitazione, per togliersi la vita. Il finale di un’esistenza fatta di sofferenza, di pregiudizi, che l’avevano allontanata mano a mano dalle relazioni sociali, dal lavoro, da tutto. L’intenzione del suicidio l’aveva anticipata nel suo blog il 10 giugno. «Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato – si legge nel sito web – porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto».
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Nel sito aveva riprodotto le immagini del testamento e delle proprie disposizioni anticipate di trattamento. La procura della repubblica di Belluno ha disposto ora l’esame del dna per accertare ufficialmente che si tratta di lei, ma dubbi, sostanzialmente, non ve ne sono. La donna sfogava da tempo sulla rete le sue inquietudini, denunciando i «tentativi di annientamento» della sua persona, la sofferenza che le causava chi le stava intorno. Nel 2015, all’anagrafe ancora con il nome di Luca Bianco, 50 anni, Cloe era un insegnante tecnico all’istituto di Agraria “Scarpa-Mattei” di San Donà di Piave.
Un giorno entrò in classe vestita in abiti femminili, mostrandosi ai suoi allievi per come veramente si sentiva. «Cari ragazzi da oggi mi chiamerete Cloe» aveva esordito. Si era presentata in minigonna, unghie laccate, caschetto biondo-cenere ,ombretto alle palpebre, facendo sobbalzare gli studenti. Fu una ragazza in particolare a dirsi choccata da quella rilevazione: uscì piangendo dall’aula e una volta a casa riferì tutto al padre, che scrisse direttamente all’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan – la quale in seguito fu solidale col genitore – raccontando di quella «carnevalata». «Ma davvero – aggiunse – la scuola si è ridotta così?».
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La docente uscì sconfitta anche in quell’occasione. Il presidente del tribunale del lavoro di Venezia, pur «senza voler criticare una “legittima scelta identitaria”, sognata da Bianco dall’età di 5 anni», stabilì che la sospensione di tre giorni inflitta dalla scuola al prof «era stata giusta» perchè l’outing in così breve tempo, senza preparare adeguatamente le scolaresche, non era stato «responsabile e corretto».
«Una storia terribile che impegna ognuno di noi a non voltarsi dall’altra parte e a lavorare per costruire un Paese realmente inclusivo e senza pregiudizi». Commenta così il ministro Federico D’Incà la fine di un’ex docente veneziana, Cloe Bianco. «Una storia di sofferenza, emarginazione, diritti negati e solitudine -rileva il ministro -che nessuno è stato in grado né di capire, né di risolvere attraverso il sostegno e la comprensione di cui Cloe aveva chiaramente bisogno». L’auspicio è che «ognuno si senta libero di esprimere la propria sessualità e la propria affettività pienamente e senza alcuno stigma. Le mie condoglianze a tutte le persone – conclude D’Incà – che le volevano bene».