Un’influencer russa, Anna Kalashnikova, seguita da più di 2 milioni di follower ha scritto un lungo post su Instagram dove si lamenta di Chanel.
Nel racconto vengono evocati anche il barone Hans Günther von Dincklage, Hitler e il Terzo Reich, annakalash (questo il suo profilo) lamenta in buona sostanza di non avere potuto fare acquisti (nella sua wishlist c’erano borse e orecchini) nella boutique di Chanel a Dubai, in quanto russa: «Mi hanno avvicinata e mi hanno detto: “Sappiamo che sei una celebrità in Russia, sappiamo che porterai i tuoi acquisti lì e quindi non possiamo venderti i nostri prodotti”». Definitiva la chiosa finale: “Sostenere il fascismo e la russofobia è così basso”».
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Se l’influencer sembra essersi presto ripresa dal trauma la griffe, da parte sua, ha confermato l’inasprimento delle sue sanzioni nei confronti dei clienti russi: non solo, come la stragrande maggior parte dei brand del lusso, la maison ha chiuso i propri punti vendita nel paese governato da Putin, ma ha anche deciso di non vendere i propri oggetti del desiderio ai russi all’estero.
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Kalashnikova non è l’unica a sollevare un polverone sulla questione. Un medesimo trattamento sembra essere stato riservato all’interior designer Liza Litvin, che ha raccontato di essere stata costretta, sempre a Dubai, a firmare un documento nel quale dichiarava di non vivere in Russia, e che non avrebbe indossato la borsa tanto desiderata in quel paese. Yana Rudkoskay, popolare moglie del campione olimpico di pattinaggio artistico Alexander Plyushenko, vita da sogno seguita da 6 milioni di follower, parla addirittura di «Shock, per una donna che da vent’anni compra Chanel e Chanel Haute Couture, e che alle loro sfilate siede in prima fila».
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