Giorgio Armani, che lunedì scorso ha fatto sfilare a Milano la sua nuova collezione, ha pensato di rimettere ordine.
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Re Giorgio ha deciso di portare in passerella la coppia tradizionale: «È una scelta precisa» ha detto lo stilista «si parla di un uomo e una donna che si vogliono bene. Poi ci sono le trasgressioni, le varianti, le modernità: tutte cose che vanno bene, non dico di no, ma stavolta mi piaceva far vedere anche questa realtà». Ha spiegato di aver voglia di «dolcezza», di «tornare al classico», che «è una scelta precisa, volevo rivedere una coppia carina, seria».
Il dialogo d’amore Armani lo vede così: tra un uomo e una donna. Alla vecchia maniera, «normale», com’è nato quand’è nato. Lo dice, lo sceglie, lo sdogana e nessuno osa rispondere «a veleno». C’è la dolcezza della nostalgia nelle parole del maestro, non la rabbia dell’ideologia. Vuole includere ciò che ha finito per rimanere nell’angolo. Ha rimesso al centro ciò che era stato relegato sullo sfondo, a furia di far spazio al nuovo, al «diverso», al moderno. Armani si riprende il privilegio di vestire un uomo da uomo e una donna da donna. Che poi dovrebbe essere la sfida massima, l’orgoglio supremo di ogni stilista: far uscire, coprendola, l’essenza, diversissima, dell’uno e dell’altra. Sublimare una femmina, insignorire un maschio. Com’era prima che arrivassero le forme fluide, le tinte unisex, i sapienti, strumentali equivoci stilistici. Suggerire a qualcuno chi essere con le lunghezze giuste, le sinuosità adatte… Questo ha sempre fatto la moda, prima di diventare un manifesto politico, una corazza ideologica, uno scafandro poco donante. I tacchi a spillo, le gonne, le giacche che sottolineano la vita, le scollature che incorniciano il seno. Ci vogliono solo le donne per star dentro a certi abiti. E ci vogliono solo gli uomini per riempire certi completi. Armani lo sa. E per fortuna, può anche permettersi di dirlo.