Candida Morvillo per il “Corriere della Sera”
Lo spettacolo che Fabio Canino riporta in scena a distanza di vent’ anni aveva divertito tantissimo Raffaella Carrà: «S’ intitola Fiesta e vi s’ immagina che tutti gli anni, il 18 di giugno, data di nascita di Carrà medesima, tre amici s’ incontrino dando una festa perché per loro è come il Santo Natale da celebrare con tutti i crismi».
Quando il 5 luglio scorso Raffaella è mancata senza preavviso, Fabio Canino aveva pensato di sospendere le recite previste dal 26 ottobre al 28 novembre alla Sala Umberto di Roma, con la regia di Piero Di Blasio. Alla fine, ha deciso di andare avanti «perché tutti fanno gli omaggi postumi, ma questo era un omaggio da viva e lei, dopo, ha sempre partecipato in qualche modo a tutto quello che ho fatto».
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Come nasce la sua passione per Raffaella Carrà?
«Per me, è sempre stata la soubrette della porta accanto: da bambino, m’ immaginavo che era la vicina che bussa alla porta, apri e c’è lei con le sue spalline che dice: ho finito il sale. La guardavo il sabato sera dopo Carosello. Non sapevo cosa volesse dire “fare spettacolo” ma la vedevo ballare, vedevo i costumi e quella strana cosa mi piaceva. Da lì, ho studiato recitazione, ho fatto teatro. E sempre, se la mattina mi sveglio triste o arrabbiato, canto le sue canzoni e mi cambia l’umore. Però, quando ho scritto Fiesta , non ci tenevo a conoscerla».
Perché mai?
«Il terrore, se hai un idolo, è che ti deluda. Insomma, andiamo in scena e, idealmente, la volevo invitare, ma temevo che a lei non piacesse lo spettacolo o che a me non piacesse più lei. Le avevo inviato una locandina e lei me l’aveva rimandata autografata, pensavo fosse il massimo possibile. Poi, una sera, ci manda le sue cugine. Dicono: buonasera.
Con l’accento romagnolo, e portano i saluti di Raffaella. Dopodiché, una mattina, fuori dal teatro vedo un camion della Rai con la parabola. Il Colosseo, un piccolo teatro off, tutto tirato a lucido: con le piante, le maschere vestite da maschere anziché in jeans. Mah…
Era tutto molto strano. Chiedo che ci fa la Rai lì fuori e dicono è per delle riprese di Capodanno. Salgo sul palco e si accendono luci che non erano le nostre, entrano delle telecamere e sento la voce di Raffaella che dice: Carràmba che sorpresa! Era lei in diretta. Mi sono sentito come se a Sergio Castellitto quando faceva Padre Pio apparisse Padre Pio in persona».
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Dovevate stare in scena tre settimane e ci siete rimasti tre anni.
«E lei venne a vederci. Riservò tutto il teatro per sé e i suoi amici, c’erano Sergio Japino, Gianni Boncompagni, Marisa Laurito… E volle pagare i biglietti. In un punto in cui faccio la risata grossa come lei, mi sentivo in imbarazzo, invece la faccio e la sento rifare dalla platea: era lei, l’originale.
Nacque un rapporto molto bello, all’inizio più leggero. L’anno dopo, fece Sanremo e volle me e gli altri due attori tutte le sere al Dopofestival. Mi fece avere il pass per assistere a tutte le blindatissime prove. Io in tv avevo fatto poco, non mi conosceva nessuno, ma lei ogni volta che provava qualcosa, mi guardava e chiedeva come andava. Poi scrissi con Roberto Mancinelli il RaffaBok , adesso ripubblicato da Mondadori. Lei mi disse che aveva comprato 40 copie da regalare agli amici. Dopo, volle venire ospite anche a Cronache Marziane: una cosa non facile: noi eravamo Mediaset, lei Rai».
Perché Raffaella è così iconica per il mondo Lgbtq?
«Non lo è solo per loro. È un’icona e basta. Perché metteva impegno in tutto. Perché è unica e inimitabile. Solo lei poteva mettere quelle spalline che usano giusto gli atleti del Superbowl».
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Com’ era fuori dalla tv?
«La incontravo a cena da Gianni o da Barbara Boncompagni, non eravamo mai più di cinque o sei: se c’era troppa gente, lei non usciva, e chiedeva sempre chi fossero gli ospiti. Cominciava a raccontare Gianni: ti ricordi quella volta all’ambasciata di Francia? O quando eravamo in Cile? Gianni era il mattatore e lei il contraltare, quella che diceva: ma no, questo non si può raccontare.
C’era una storia su Gianni che, a una cena di gala, rispediva indietro tutti i piatti e Raffaella che cercava di evitargli le figuracce. In quelle serate, capivi quanto lei fosse amata in tutto il mondo: in Cile, a Viña del Mar, aveva cantato in uno stadio pieno come se ci fosse Madonna e la ressa era tale che avevano dovuto farla uscire nella cesta della biancheria. Un’altra volta, la portarono fuori con l’ambulanza. Gianni sosteneva che Frank Sinatra, quando aveva girato con lei Il colonnello von Ryan , si aspettava che fosse una preda facile, ma lei usciva dal set e se ne tornava a casa con la mamma».
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