Costanza Cavalli per “Libero quotidiano”
Quando si ha per le mani una roba che vale miliardi di dollari, a cambiarla si rischia di fare danni. L’ultimo psicodramma commerciale della Walt Disney Company è: come rendere le principesse al passo coi tempi senza infastidire i fan dei personaggi classici? Il franchise (ovvero, un marchio collegato a un prodotto principale) delle principesse, infatti, ideato senza clamori negli anni Novanta (poca pubblicità e niente studi di mercato) è diventato in breve tempo una gallina dalle uova d’ oro.
Giocattoli, vestiti, libri, parchi a tema, spettacoli teatrali e chincaglierie varie che nel 2000 valevano 300 milioni di dollari, nel 2009 avevano raggiunto i 4 miliardi e oggi siamo di poco sotto i 10. È per questo, scrive il Wall Street Journal, che la Disney sviluppa quei specifici personaggi «come la Apple gestisce i modelli di iPhone»: un processo segreto cui lavorano due dozzine di dipendenti, i quali, alla ricerca del giusto mix fra tradizione e modernità, producono relazioni e manuali da centinaia di pagine. Il loro lavoro produce la descrizione di ogni minimo dettaglio, dai colori al linguaggio, all’ atteggiamento delle principesse (da studiare e rispettare come se fossero un vangelo), basata su studi accademici e sulle conclusioni di incontri con i bambini.
LE POLEMICHE
Così, da vent’ anni, i dipendenti della multinazionale studiano come rendere le principesse più indipendenti senza mettere in discussione gli abiti frufrù, i castelli e le storie d’ amore. Con frutti scadenti: nonostante tutti gli investimenti da capogiro, spesso sono stati criticati per aver «promosso nozioni antiquate di femminilità», scrive sempre il Wall Street, «e un immaginario in cui damigelle in difficoltà possono essere salvate soltanto da un uomo».
Da Cerentola, che si sottrae alla matrigna grazie a un principe, bello e ricco, con il quale si sposa dopo averci ballato per meno di due minuti (le nozze più convenienti e improvvise della storia); alla sindrome di Stoccolma che colpisce Belle di “La Bella e la Bestia”, che s’ innamora del suo rapitore. Ora, nell’epoca delle donne candidate alla presidenza degli Stati Uniti e del #MeToo, che cosa fare?
Nel film “Ralph Spaccatutto”, volume 2 (uscirà in Italia il prossimo 22 novembre), due momenti sembrano fare a brandelli la filosofia disneyana. Scena uno: le principesse (tutte: Biancaneve, Cenerentola, Aurora, Ariel, Belle, Jasmine, Pocahontas, Mulan, Tiana, Rapunzel, Merida) vengono riunite in una stanza.
STRAVOLGIMENTO
Cenerentola, per difendersi da una bambina che crede pericolosa, frantuma la sua scarpetta di cristallo e la brandisce contro la piccola come una bottiglia rotta. Poi le principesse bombardano di domande la nuova arrivata: «Hai capelli magici? Mani magiche? Gli animali ti parlano? Sei stata avvelenata, sei vittima di un incantesimo? Ti hanno rapita o fatta schiava? Le persone pensano che i tuoi problemi siano stati risolti perché è arrivato un uomo grande e forte?».
Seconda scena: ancora le pulzelle riunite, in pigiama. In pigiama? Sì, tanti saluti ai corpetti che tolgono il fiato e allo strascico luccicoso. Le ragazze sono spaparanzate chi sul letto chi sul divano, scolano lattine e frappè, s’ingozzano di patatine. Squassate dalla normalità.
Il dialogo della prima scena ribalta e irride le regole che avevano governato le eroine, la seconda gioca su un filo psicologico fin troppo sottile: infatti, in passato, quando le principesse venivano rappresentate insieme, che fossero su un poster o una maglietta, avevano sempre gli sguardi puntati in direzioni diverse. Per significare che ogni storia viveva solo di sé, apparteneva a un universo che non toccava gli altri. E ora questo pigiama party al femminile segna la svolta, una nuova, fortissima e incongrua solidarietà femminile.
L’ex direttore creativo della Disney, John Lasseter, da tempo desiderava portare le principesse sulla terra, riporta il Wall Street, ma la verità è che le signorine magiche non sono sulla terra nemmeno questa volta. Ci sono principesse grasse? Con i capelli crespi? Ce n’è una con il mento sporgente, una con i denti storti? No, no e ancora no. Tutte fotomodelle (era bella persino la volpe Lady Marion nel cartone “Robin Hood”). Inutile fingere che la mitologia delle principesse abbia qualcosa di umano: non si acciaccano, non imprecano.
Quello delle principesse Disney è un pantheon non un film neorealista, hanno umane sembianze ma umane non sono. E d’ altronde, chi, se non in un paradiso, anche quando è un po’ tribolato, riesce a concludere una storia con «e vissero felici e contenti»? Alle bambine piacciono le cose belle, precise come i mattoncini della Lego. Di cose “giuste” e brutte è pieno il mondo, le principesse vanno così: belle (tutte), stupidelle (alcune) e ben vestite (ci mancherebbe).