Dire a un uomo che è un “pelato” è molestia sessuale.
Lo afferma l’Alta Corte britannica che si è espressa su una lunga causa intrapresa da un elettricista inglese.
L’uomo afferma di essere stato vittima di una discriminazione sessuale sul lavoro: lo spiacevole episodio si è verificato nel 2019, quando il suo supervisore, durante una discussione avvenuta in fabbrica, lo ha insultato chiamandolo “pelato del ca***”.
Quando nel 2021 l’uomo è stato licenziato, ha deciso di portare l’azienda per cui lavorava davanti al tribunale d’appello del lavoro, che nel 2022 si è espresso in suo favore. La risposta della controparte a quel punto è stata che “sia gli uomini sia le donne possono essere calvi (per scelta o per malattia), perciò l’uso del termine in relazione a un uomo non può violare le leggi sulla parità”.
L’argomentazione però non ha convinto i giudici, che hanno respinto il ricorso. Per il tribunale, infatti, gli insulti ricevuti dall’uomo sono “intrinsecamente legati al sesso”: commentare la calvizie di un uomo equivale, secondo il giudice, a esprimersi sulle dimensioni del seno di una donna.
La corte ha affermato che “si trattava di riconoscere il fatto che la caratteristica in riferimento alla quale il supervisore aveva scelto di abusare dell’uomo (calvizie) era più diffusa nelle persone del genere (maschile) e, in quanto tale, intrinsecamente correlata al sesso”.
L’azienda dovrà quindi risarcire l’uomo ma la cifra non è ancora stata rivelata.