Diego Dalla Palma, truccatore, costumista, scenografo e talvolta anche sceneggiatore e attore, si è raccontato approfonditamente in un’intervista al Corriere della Sera, in occasione della pièce teatrale “Bellezza Imperfetta, tra vacche e stelle“.
Diego Dalla Palma choc: “Sono stato picchiato fino a perdere conoscenza”
Cresciuto tra le montagne, nelle malghe dove si producevano burro e formaggi, non torna sulle alture venete, a Enego dove è nato, ormai da anni: “Manco da tanto tempo. Ho sofferto troppo. Mi deridevano: «Femminuccia». A distanza di anni, temevano che li contagiassi con il meningococco. Ah, l’ignoranza!”. Da lì è andato via appena maggiorenne: “A 18 anni. Il viatico di mio padre Ottavio fu: “Ricòrdate sempre che sémo gente povera, no povera gente”.
La sua destinazione fu Milano, dove iniziò a vivere di stenti, ma l’intento era quello di dare una svolta alla sua vita, anche se ha dovuto affrontare situazioni difficili: “Non sapevo dove lavarmi, dove dormire. Finii nel pensionato Belloni, viale Fulvio Testi, fra barboni ubriachi che scoreggiavano. Fame vera. Un giorno mi prostituii per un panino. La mia università è stata la povertà”.
Parlando di sé, invece, ha ribadito il suo essere pansessuale, come aveva dichiarato in un’intervista: “Sono nato in una casa priva di infissi. Non ho porte, non ho confini. Di due grandi amori, Anna e Mario, preferisco ricordare Anna. Studiava alla Scala per diventare soprano. Mi ha donato equilibrio. Il sesso era il primo pensiero la mattina e l’ultimo la sera. Oggi osservo sgomento il mio corpo plissé e mi astengo”.
Diego Dalla Palma: “Da piccolo ero bullizzato e un prete di 120 chili abusò di me, padre Ugo di Gubbio”
Eppure, di sofferenze, ne ha subite tante come gli abusi quando aveva solo 15 anni: “Quasi tutti i giorni, per due anni, al collegio Cavanis di Venezia. Dormivo nell’ala degli sfigati che non potevano pagare la retta. Padre Ugo, 120 chili, era suadente: “Dammi del tu”. Dapprima fu una violenza mentale. Conservo ancora tre pile di vinili che mi regalò. Anni fa la mia segretaria mi passò al telefono un asmatico. Era padre Ugo: “Stavolta benedicimi tu, sto morendo. Mi vuoi bene, Diego?”. Non conosco il rancore. Ci pensai un minuto. Risposi: sì, le voglio bene. Che mi cambiava, a perdonarlo? “Grazie, figliolo”, fu il suo congedo”.