In un’intervista il cardinale Pietro Parolin si assume la paternità della “nota verbale” sul ddl Zan, allontana l’ipotesi che sia uscita dal Vaticano, derubrica la presunta eccezionalità di uno strumento che, spiega, è “il mezzo proprio del dialogo nelle relazioni internazionali”, fa sponda al presidente del Consiglio Mario Draghi sulla necessaria laicità dello Stato e ribadisce, perimetrandola, la richiesta non già di “bloccare la legge” – cosa esclusa già dalla “nota verbale” – ma di limarne preventivamente, come è ovvio – il testo al fine di ridurre il margine che rischia di essere riservato ai giudici che saranno chiamati a dirimere eventuali contenziosi sul tema della “discriminazione”.
“Avevo approvato la Nota Verbale trasmessa all’ambasciatore italiano e certamente avevo pensato che potevano esserci reazioni”, spiega il Segretario di Stato, appena tornato dal Messico, in una intervista concessa al direttore editoriale vaticano, Andrea Tornielli, ed apparsa su Vatican News e Osservatore Romano. “Si trattava, però, di un documento interno, scambiato tra amministrazioni governative per via diplomatica. Un testo scritto e pensato per comunicare alcune preoccupazioni e non certo – scandisce il porporato – per essere pubblicato”. Una sottolineatura che corrobora l’idea, diffusa ai piani alti del Palazzo apostolico, che per individuare chi ha fatto finire il documento sui giornali si debba guardare non dalla parte dei mittenti, ma da quella dei destinatari, e in generale della politica italiana. “Non è stata un’ingerenza”, puntualizza Parolin. “Lo Stato italiano è laico, non è uno Stato confessionale, come ha ribadito il Presidente del Consiglio. Concordo pienamente con il Presidente Draghi sulla laicità dello Stato e sulla sovranità del Parlamento italiano”, ha sottolineato Parolin.
“Ho apprezzato – nota Parolin – il richiamo fatto dal Presidente del Consiglio al rispetto dei principi costituzionali e agli impegni internazionali. In questo ambito vige un principio fondamentale, quello per cui pacta sunt servanda“. E’ “su questo sfondo” che con la Nota Verbale “ci siamo limitati a richiamare il testo delle disposizioni principali dell’Accordo con lo Stato italiano, che potrebbero essere intaccate. Lo abbiamo fatto in un rapporto di leale collaborazione e oserei dire di amicizia che ha caratterizzato e caratterizza le nostre relazioni”. En passant, il “primo ministro” del Pontefice sottolinea che la nota verbale è “il mezzo proprio del dialogo nelle relazioni internazionali”. Proprio perché riservata, non è dato di sapere quante volte un simile strumento sia stato utilizzato per le interazioni tra le due sponde del Tevere, anche recentemente, su questioni, ad esempio, come il fine vita, l’immigrazione, le scuole cattoliche. “La nostra preoccupazione – conclude il cardinale Parolin – riguarda i problemi interpretativi che potrebbero derivare nel caso fosse adottato un testo con contenuti vaghi e incerti, che finirebbe per spostare al momento giudiziario la definizione di ciò che è reato e ciò che non lo è. Senza però dare al giudice i parametri necessari per distinguere, il concetto di discriminazione resta di contenuto troppo vago. In assenza di una specificazione adeguata corre il rischio dimettere insieme le condotte più diverse e rendere pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno evitate, finché si è in tempo. L’esigenza di definizione è particolarmente importante perché la normativa si muove in un ambito di rilevanza penale dove, com’è noto, deve essere ben determinato ciò che è consentito e ciò che è vietato fare“.