Dalle pagine di Quora arriva la lettera di una madre che, se pur non volendo, ha sbirciato sul cellulare della figlia per poi scoprire una doppia vita ed ha preferito agire per il bene della ragazza per poi scrivere una lettera alla rivista. Ecco cosa ha detto:
“Non ho mai pensato di violare la privacy dei miei figli sbirciando sui loro telefonini o su Facebook ma, grazie a tutto questo, ora credo di poterlo dire: HO SALVATO MIA FIGLIA“
“Avevamo cambiato quartiere – racconta la donna – e perciò non avevo alcuna familiarità coi ragazzi del vicinato, o con le loro rispettive famiglie. Stavo ancora cercando di capire chi fossero gli amici di mia figlia. Dopo qualche mese percepii nel gruppo dei suoi amici qualcosa che non mi piaceva. Ma non riuscivo a capire esattamente di che cosa si trattasse.
Ne parlai al mio ex marito, spiegandogli che stavo valutando la possibilità d’andare a frugare nel suo cellulare e sul suo profilo Facebook. Lui si disse fermamente contrario alla mia idea, appellandosi alla privacy, ai suoi diritti e a tutta la solita serie di considerazioni di natura morale ed etica. Mi ritrovai d’accordo con tutto ciò che mi stava dicendo, eppure c’era qualcosa che non mi tornava.
Alla fine, un bel giorno, decisi che avrei preferito farmi odiare da mia figlia per il resto della sua lunga vita piuttosto che scampare alla sua ira e permetterle di fare qualcosa di potenzialmente pericoloso, o perfino di rischiare la propria vita. Credo che all’epoca avesse tredici anni.
Un sabato pomeriggio lei s’addormentò col cellulare fra le braccia. Riuscii a prenderlo in mano, e ciò che vi scoprii mi mandò un brivido lungo la schiena.
Una serie di sms e messaggi su Facebook inviati dal padre di un ragazzo, uno dei suoi amici di scuola. Nei messaggi lui le diceva che sua madre era troppo severa. Che sarebbe dovuta venire a trascorre la notte a casa sua, e che lui l’avrebbe coperta. Diceva che le avrebbe portato biscotti, panini di McDonald’s o qualunque altra cosa avesse desiderato, ma che per farlo avrebbe dovuto uscire di casa di nascosto per andare a incontrarlo in fondo alla strada, di notte, o nel corso della pausa pranzo a scuola. Quei messaggi erano stati inviati a ogni ora del giorno e della notte.
Si trattava di un uomo sulla quarantina che non avevo mai conosciuto! Che mandava messaggi a mia figlia! Era evidente che se la stava coltivando per qualche scopo. Ci vollero tutte le mie forze per trattenermi dal mettermi al volante e correre dritta a casa sua per fargli tutto ciò che una mamma orso farebbe a chiunque minacci la sicurezza dei suoi figli. Ci volle un grosso sforzo anche per convincere suo padre a non fare qualcosa d’avventato.
Alla fine fissai un appuntamento col preside della sua scuola per il lunedì successivo. Quando gli mostrai ciò che avevo scoperto rimase senza parole. Mi disse che in tutti i suoi anni d’esperienza sul lavoro non aveva mai visto niente di simile. Chiamai la polizia e feci un esposto, ma loro non potevano farci niente, perché lui non le aveva ancora fatto del male. Avvertii tutti gli altri genitori. Il momento più difficile fu spiegare a mia figlia che non le sarebbe stato più permesso di vedersi coi suoi amici.
Per qualche mese mi detestò. Mi disse che le avevo rovinato la vita, e a stento mi rivolse la parola. Ma dentro di me sapevo ciò di cui lei non poteva rendersi conto. Sapevo d’averla salvata da un predatore.
Oggi, per fortuna, lei è una ragazza felice, equilibrata, intelligente e ambiziosa. Non mi pentirò mai d’averlo fatto. E non consiglio certo di farlo con leggerezza.
Il punto che è a volte noi genitori dobbiamo fidarci del nostro istinto e fare ciò che è meglio per i nostri figli, indipendentemente dalle opinioni degli altri. Tremo al pensiero di come starebbero le cose oggi se avessi dato retta a suo padre, per tutte le sue buone intenzioni, e mi fossi trattenuta dall’invadere la privacy di mia figlia. Nella migliore delle ipotesi saremmo costretti a fare terapia per bambini vittime di abusi sessuali. Nella peggiore, sarebbe morta.”