Lei era lui, in una vita precedente nella quale non si riconosceva. Oggi è una moglie e una mamma. Ma chiede al Comune di Como, solo per l’anagrafe, di essere riconosciuta come il papà del suo bambino. Un figlio che cresce con due mamme, ma che ha un padre biologico che vorrebbe essere indicato come tale. La richiesta è «irricevibile» per l’ufficiale dell’anagrafe di Palazzo Cernezzi, che nega la registrazione e ribadisce di non poter certificare la paternità di una donna. La coppia non si arrende e fa causa al Comune di Como. La parola passa dunque ai giudici per un caso che, comunque vada, è destinato a fare scuola e va ad inserirsi in quel vuoto normativo che sempre più spesso in Italia costringe uomini e donne ad appellarsi ai tribunali per vicende che incrociano leggi ed etica, norme e sfera privata e familiare.
Il caso coinvolge due donne, residenti nel capoluogo comasco, che si sono sposate qualche tempo fa. Un’unione civile celebrata in Comune a Como. Una di loro era un uomo che ha scelto poi di cambiare sesso e ha completato il percorso fino al cambiamento totale di identità. Prima di avviare quel percorso, l’allora uomo ha scelto di congelare il seme per un eventuale utilizzo futuro. Dopo il matrimonio, la coppia decide di avere un figlio e la strada scelta è quella della fecondazione assistita facendo quindi ricorso al seme dell’uomo, che a tutti gli effetti è dunque il padre biologico del bimbo partorito dalla compagna.