Roberto Calderoli, forse il più pirotecnico dei maggiorenti leghisti.
Classe 1956, bergamasco, rampollo di una famiglia dove nonni e fratelli e cugini sono tutti dentisti – come lui, una laurea in chirurgia maxillo-facciale che però non ha mai utilizzato – il prossimo ministro per le Autonomie, già titolare delle Riforme e della Semplificazione nei governi Berlusconi II e IV, s’è guadagnato sul campo il titolo di “mago degli emendamenti”. C’è da giurarci: se si vuol far fallire una proposta di legge o una riforma, basta chiamare lui. Conosce tutti i trucchetti, i pertugi e i sotterfugi dell’aula: grazie a una profonda conoscenza dei regolamenti parlamentari manovra con la stessa abilità con cui sgommava nei rally quand’era ragazzo.
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Secessionista convinto, padre di una riforma in senso federale poi bocciata, Calderoli debutta alla Camera nel 1992, nove anni dopo viene dirottato in Senato dove diventa vicepresidente finché nel 2004 prende il posto di Bossi come ministro delle Riforme. Il primo di una lunga serie di incarichi, associati quasi sempre a sparate contro l’Islam, gli omosessuali, gli immigrati, rimaste scolpite negli annali. Fu lui a definire “porcata” la legge elettorale scritta da sé medesimo e poi unanimemente ribattezzata Porcellum. Lui a dare dell’orango all’ex ministra Cecile Kyenge, che tre anni fa gli è costata una condanna in primo grado a un anno e sei mesi. Lui a indossare nel 2006 una maglietta anti-Maometto che provocò una violenta rivolta davanti al consolato italiano di Bengasi. Per poi affermare, sempre nello stesso anno: “La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni. Qua rischiamo di diventare un popolo di ricchioni”. Una tendenza alla dissacrazione spesso triviale consacrata in un libro dal titolo illuminante: “Mutate mutanda” (ispirato al latino mutatis mutandis e però riferito al capo di biancheria intima) dall’incipit indimenticabile: “Muta Mutanda! cambia ciò che deve essere cambiato!”. Dotato di notevole autoironia, Calderoli un giorno confidò: “Su di me non avrei scommesso una lira”.
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Ora è ministro per la terza volta.
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