Insulti omofobi, calci e pugni fino allo svenimento. Solo la supplica di un bambino di 11 anni, figlio dell’aggressore, avrebbe evitato che l’episodio di violenza potesse finire nel peggiore dei modi.
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È accaduto lo scorso 11 dicembre, alle 19.15, in un complesso residenziale a Bari. La vittima, Nicola De Marzo, 38enne, ha riportato ferite su tutto il corpo con una prognosi di 45 giorni e ha deciso di denunciare l’accaduto ai Carabinieri e all’opinione pubblica come atto di sensibilizzazione sociale.
I selfie diffusi da Nik, soprannominato così da familiari e amici, testimoniano l’impatto devastante dei colpi subiti in rapida successione: ematomi e cicatrici sotto l’occhio sinistro, due costole incrinate, fratture interne e braccio sinistro in pessime condizioni, un dente spezzato, l’omero slogato. A cui si aggiunge il trauma psicologico che lo attanaglia ogni notte o nei momenti di solitudine.
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Il suo racconto è continuamente interrotto dalle lacrime: “Voglio mostrare a tutti cosa ho subìto – ha spiega Nik a lagazzettadelmezzogiorno.it – la discriminazione sull’orientamento sessuale non può essere una scusante per commettere questi atti carichi di rabbia ingiustificata”.
L’uomo era passato da un negozio del centro per ritirare un maglioncino da consegnare a un’amica. «Era un regalo di Natale», aggiunge. Intorno alle 19, ha raggiunto la sua amica nel quartiere San Pasquale. Una volta entrato nella proprietà privata Nik è stato bloccato e si è ritrovato al centro di una lite furiosa tra coniugi, parenti dell’amica. “Mi hanno definito un ricchione di m…” racconta. Poi dalle parole si è passati ai fatti. “Ti ucciderò di botte e uscirai morto da qui” sarebbe stata l’ultima frase che Nik ha ascoltato prima di cadere al suolo: “Sono stato scalciato con colpi allo stomaco, al viso, a braccia e gambe. Ho perso conoscenza ma per fortuna è intervenuto uno dei passanti che ha fatto fuggire l’aggressore”. Oltre alle invettive omofobe, sembra che l’intervento determinate, pacificatore, sia stato compiuto da un 11enne figlio dell’aggressore. Che secondo la descrizione riportata agli inquirenti avrebbe implorato di fermare la violenza: “Non ucciderlo“.