Dirty Pop: la truffa delle boyband non è una serie particolarmente divertente.
Il documentario racconta la storia del defunto magnate delle boy band Lou Pearlman che nel 2008 è stato condannato per avere gestito un enorme schema Ponzi, lanciando al contempo le carriere delle più grandi boy band mai esistite. Ciò che è divertente della serie, tuttavia, sono tutti i filmati d’archivio. Vediamo gli NSYNC con i capelli colorati, il doppio denim e i pantaloni da paracadutista. Vediamo i Backstreet Boys con le frange stile tenda, le magliette da baseball e i capelli impomatati.
Si trattava di momenti di menswear fuori dagli schemi che sono stati ampiamente ridicolizzati all’epoca e per parecchi anni a venire (nel 2017, Justin Timberlake si è scusato per «l’abbigliamento discutibile» della band durante gli anni ’90). Dopotutto, come ci viene ricordato all’inizio del documentario, questa era l’epoca di gruppi grunge come i Nirvana, o di esponenti dell’hip-hop del calibro di Dr Dre e Snoop Dogg: ragazzi cool, con abiti da ragazzi cool.