Nel libro l’icona pop Britney Spears dà ai suoi sostenitori e al movimento #FreeBritney il credito della riacquistata libertà: senza di loro, «soprattutto all’inizio» la cantante di Baby One More Time non ce l’avrebbe fatta.
Tre volte intrappolata, prima dalla povertà nel trailer park di Kentwood in Louisiana, poi dalla fama, infine dalla famiglia. Il memoir «The Woman In Me» mette in luce i vizi dello star system e i dietro le quinte dei più grandi successi della popstar invitando a guardare con maggior consapevolezza ai meccanismi che, oggi come ieri, celebrano e distruggono i personaggi pubblici.
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Il culmine è ovviamente l’udienza di tribunale del giugno 2021 in cui Britney, per la prima volta in 13 anni, ha avuto il coraggio e la possibilità di raccontare con la propria voce il dramma della custodia legale a cui nel 2008, dopo una serie di pubblici crolli mentali, l’aveva assoggettata il padre Jamie con la benedizione della magistratura.
Tante rilevazioni tra cui quella dei film mancati:
Tante rilevazioni tra cui quella dei film mancati: Britney rimpiange di non aver detto Sì a Chicago nel 2002: «Avrei dovuto farlo. Magari fossi stata più ribelle e coraggiosa per uscire dalla mia zona di sicurezza accettando cose che non erano nell’ambito di quel che sapevo fare».
I media hanno già anticipato la gravidanza a sorpresa quando, ancora 19enne, stava con Justin Timberlake, l’aborto che poi ne è seguito e di cui lei avrebbe preferito parecchio fare a meno.
Nel memoir Britney nega con forza di essere una «sciupafamiglie»: non aveva la più pallida idea che il futuro marito Kevin Federline avesse un bebè in arrivo con Shar Jackson quando i due, nel 2004, si erano messi insieme.
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Dopo la rottura con Justin, da lui comunicata per sms mentre lei era sul set del video Overprotected, Britney mise gli occhi addosso a Colin Farrell che girava S.w.a.t. su un set non lontano: «Finimmo per avere una zuffa di due settimane. Zuffa è l’unica parola che mi viene in mente. Eravamo uno addosso l’uno all’altra con tale passione che era come una rissa di strada».
Una celebre intervista-imboscata con Diane Sawyer girata nel 2003 nel salotto del suo appartamento fu per lei «il punto di rottura». Avevo sempre detto che casa mia era sacra, ma mi costrinsero a farla entrare e finii per piangere sul divano davanti all’intera nazione», rievoca la premio Grammy.
La famosa intervistatrice non mollava la presa con domande difficili una dietro l’altra: «Mi sentii sfruttata. Incastrata di fronte a tutto il mondo». Britney definisce quel momento «un punto di rottura interno», ma «non avevo scelta», aggiunge: «sembrava che a nessuno importasse di come mi sentivo».
Il memoir non è a lieto fine:
Il memoir non è a lieto fine: «Le emicranie sono solo una parte del danno fisico e emotivo che mi resta dopo l’uscita dalla tutela. Non credo che la mia famiglia capisca il male che mi ha fatto», scrive la cantante.
Il danno investe anche la sua musica. Cattive notizie per i fan: «era la mia vita e la custodia è stata letale per questo: ha schiacciato la mia anima».