«Ho accettato l’invito di Giacinto Festival perché è fondamentale che le nostre storie vengano raccontate, è necessario prenderci gli spazi pubblici e fare sentire la nostra voce».
Così Daphne Bohémien, performer internazionale, content creator, divulgatrice e attivista spiega le ragioni che l’hanno portata ad accettare l’invito di Luigi Tabita, direttore artistico di Giacinto Festival (www.giacintofestival.com) a portare la sua storia e presentare il suo libro – Trauma (Sperling & Kupfer) alla nona edizione dell’evento che, quest’anno è dedicato allo “spazio sociale”.
«Noi compiamo un atto politico ogni volta che il nostro corpo non conforme, la nostra identità non voluta, attraversa una stanza, una piazza, una via, la nostra sola esistenza è qualcosa di implicitamente rivoluzionario in un sistema che ci ritiene un glitch, un errore e allora noi facciamo la rivoluzione insieme, in ogni spazio possibile, anche al Giacinto Festival», aggiunge Daphne che sarà protagonista – domenica 6 agosto alle 21 – dell’incontro con Giuliano Arabia, avvocato e componente dipartimento pari opportunità AIGA (associazione italiana giovani avvocati) per la presentazione del suo libro: un’autobiografia onesta e a tratti disturbante, capace di ispirare tutti coloro che si sentono sbagliati e spronarli a lottare, dimostrando che salvarsi è possibile.
Torna a Noto il Giacinto festival – nature Lgbt+: lo “spazio sociale” è il tema di questa IX edizione!
Daphne qual è stata la molla che ti ha fatto scrivere la tua autobiografia? Un bisogno personale e un contributo da attivista alle battaglia per i diritti?
«Il libro, come tutto nella mia carriera artistica, nasce da un’esigenza e in questo caso una doppia esigenza, perché da un lato c’era quella di mettermi a nudo, completamente e in modo viscerale, dall’altra quella di raccontare una storia, la mia, che fosse una storia ruvida, storta, piena di contraddizioni e che non facesse sconti, una storia che parlasse di traumi ma senza fare pornografia del dolore, una storia che parlasse di rinascita senza fare inspiration porn».
Chi è Daphne?
«Daphne è un’artista, un’animale da palcoscenico, ma è anche infinitamente spaventata di essere abbandonata, è empatica, ma spietata con sé stessa, Daphne è donna ed è bambino, è rabbia bruciante, dolore spietato, è una risata fragorosa in una stanza in silenzio, è volgare, è fragile, è amica, sorella e compagna, è appariscente e ribelle, Daphne è contraddizione perché è spietatamente umana».
Tu ha dichiarato: “Mi considero in realtà una persona complessa come tante solo che io ho un po’ più di consapevolezza”. Come l’hai acquisita?
«Negli anni ho imparato a mettermi molto in discussione e sicuramente la psicoterapia ha contribuito moltissimo in questo percorso di consapevolezza, per questo è necessario combattere lo stigma che affligge la salute mentale, tuttə dovremmo avere diritto di poter stare meglio, la salute mentale non può e non deve essere un privilegio».
Qual è il tuo “trauma”?
«I miei traumi sono tanti e quasi tutti raccontati nel libro, nasce proprio da qui l’idea del libro e il ragionamento sulla sua struttura: un libro raccontato sempre al presente perché i miei traumi sono ancora qui con me».
A che punto siamo con l’affermazione dei diritti in Italia?
«Purtroppo non solo non stiamo facendo passi in avanti, ma abbiamo un governo che cerca anche di farcene fare in direzione opposta. Stiamo vivendo tempi bui, per questo è importante esistere e resistere, per questo sempre di più c’è la necessità di affermare le nostre soggettività.
Mi chiamano radicale e mi dicono che dovrei essere meno arrabbiata e cercare un punto d’incontro, ma non ci può essere nessun punto d’incontro con chi protegge gli aggressori, con chi cerca di toglierci tutto, di invisibilizzarci, con chi giustifica l’oppressione delle categorie marginalizzate».
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