Realizzare un racconto di Whitney Houston, “probabilmente la più grande artista femminile della musica del nostro tempo” che le rendesse giustizia, visto che i precedenti suoi ritratti (come quello di Whitney, il documentario nel 2018 firmato dal premio Oscar Kevin MacDonald) “sono stati inaccurati”.
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E’ ciò che ha spinto un mito della musica come il produttore e mogul discografico 90enne Clive Davis,che ha scoperto e sostenuto per tutta la sua carriera la cantante, a essere fra i produttori del biopic Whitney – Una voce diventata leggenda di Kasi Lemmons, appena arrivato in sala con Warner Bros Entertainment Italia.
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E’ la britannica Naomi Ackie a calarsi, in una performance intensa e personale, nel ruolo della straordinaria artista diventata star globale del pop ventenne e morta dieci anni fa, a soli 48 anni, nella vasca d’albergo del Beverly Hills Hotel, per un annegamento accidentale causato da un’eccessiva assunzione di droghe unito alle conseguenze di una malattia vascolare progressiva, l’aterosclerosi. Una fine tragica (seguita tre anni dopo dalla morte in circostanze simili dell’unica figlia della cantante, la 22enne Bobby Kristina Brown) presente nel film (che ha avuto anche l’appoggio della famiglia della cantante). Nelle intenzioni dei realizzatori, si vuole offrire un quadro il più completo possibile sul percorso umano e artistico di Whitney.
Obiettivo nobile non sempre raggiunto, dalla sceneggiatura di Anthony McCarten (già autore dello script di Bohemian Rhapsody) che a tratti si limita ad evocare dei fatti, seppure con pathos, grazie a un ottimo cast, senza realmente approfondirli.
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E’ ciò che succede quando si affrontano, ad esempio, temi come l’inizio della dipendenza della cantante dalla droga presente da prima dell’incontro con il collega ‘bad boy’, infedele e instabile, Bobby Brown (Ashton Sanders), diventato suo marito e padre della figlia, che comunque ha peggiorato la situazione, o le pressioni che hanno portato Whitney Houston, a interrompere la relazione amorosa con Robyn Crawford (Nafessa Williams), iniziata quando entrambe erano poco più che adolescenti.
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Robyn, l’amica e confidente più stretta di Whitney, per la prima volta mette a nudo la storia d’amore, poi trasformata in amicizia, tra lei e la cantante morta a 48 anni. Crawford, 58 anni, ha raccontato di aver trascorso oltre tre decenni al fianco di Whitney e di aver avuto una relazione con lei negli anni ‘80 nel libro di memorie “A Song For You: My Life with Whitney Houston”.
Un legame umano profondo continuato anche dopo la rottura, con la Crawford che ha accettato di rimanere accanto alla Houston, come confidente, assistente e migliore amica per gran parte del suo percorso. E’ perfettamente raggiunto invece un altro degli scopi di Davis (interpretato da uno straordinario Stanley Tucci), ricentrare l’attenzione sull’unicità e la potenza del talento di Whitney e la sua influenza su un’intera generazione di artisti (la Ackie ha cantato live nelle scene per dare veridicità alle performance, ma la voce che sentiamo è quella della Houston con un paio di eccezioni). Il film rievoca, attraverso 22 canzoni i capisaldi del suo viatico, dalle prime hit globali come I wanna dance with Somebody a performance rimaste nella storia della musica come quella nell’inno nazionale al Superbowl del 1991 o ‘l’impossible medley’ eseguito agli American Music Awards del 1994.
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Ne emerge nel complesso un affresco coinvolgente, di una artista unica, intelligente, determinata e fragile, sottoposta a enormi pressioni fin da giovanissima (anche per i due genitori impegnativi, Cissy come lei grande cantante e Anthony, troppo disinvolto nell’amministrare i soldi della figlia, interpretati da Tamara Tunie e Clarke Peters) e spesso schiacciata dall’immagine che altri le hanno imposto. “Ho trovato una forza inaspettata nell’interpretare Whitney Houston – spiega Naomi Ackie -. “Non sono un’attrice che si porta a casa i personaggi.
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Tra “action” e “cut”, concentro tutte le emozioni, poi le lascio alla porta. Ma con Whitney, ho provato qualcosa di diverso. Sono entrata in contatto con me stessa e le mie capacità in un modo che non mi era stato chiesto di fare prima. Non interpretavo più solo Whitney Houston”.