Anwar Ibrahim, 75 anni, ha prestato oggi giuramento come primo ministro della Malesia dopo aver tentato per quasi trent’anni di arrivare alla guida del governo senza mai riuscirci.
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Il leader riformista, soprattutto, è il primo ad arrivare ai vertici di un Paese islamico dopo essere stato accusato di rapporti omosessuali, subendo per questo due condanne. Anwar è infatti stato condannato per due volte per sodomia, che in Malesia costituisce un reato punibile con pene fino a 20 anni di reclusione.
La prima volta accade nel 1998, quando Anwar è vice del premier Mahathir Mohamad e astro nascente dell’Organizzazione nazionale dei malesi uniti (Umno), il partito che sin dall’indipendenza aveva dominato la vita politica del Paese. Alla vigilia dell’assemblea generale del partito viene fatto circolare un libretto intitolato “50 ragioni per le quali Anwar non può diventare primo ministro”: all’interno vi si trovano prove fotografiche di una presunta relazione del politico con il curatore dei suoi discorsi, Munawar Anees, con il suo fratello adottivo, Sukma Darmawan Sasita Atmadja, e con due segretari, Ezam Mohamad e Mohamad Azmin Ali. I primi due, interrogati dalla polizia, confermano inizialmente di aver praticato “sesso innaturale” con Anwar, salvo poi successivamente ritrattare. L’allora vicepremier viene comunque licenziato dal governo il 2 settembre del 1998 e il giorno dopo è espulso dall’Umno.
In tribunale Anwar, sposato e padre di sei figli, si professa “innocente” e, mostrando una fotografia che lo immortala con un occhio nero, denuncia di essere stato picchiato dall’ispettore generale di polizia Rahim Noor. Il capo del governo, Mahathir, sostiene che Anwar si sia “autoprocurato” l’ematoma “premendo un bicchiere sull’occhio”. Successivamente, però, le accuse ai danni dell’ufficiale di polizia vengono confermate e Rahim Noor è condannato a due mesi di carcere. Anche Anwar, però, è giudicato colpevole: l’elemento chiave del processo è l’analisi del Dna su un materasso che, secondo l’accusa, sarebbe stato macchiato dal liquido seminale del politico. L’attuale premier, già giudicato colpevole l’anno prima di corruzione, viene condannato a nove anni di carcere nel 2000, ma quattro anni dopo la Corte federale annulla la sentenza, sulla cui regolarità anche molte organizzazioni internazionali hanno espresso dubbi.