La Basilica di San Giovanni Maggiore è una delle più antiche chiese di Napoli, se non addirittura la più antica.
Sorge all’interno del Decumano Inferiore della città, all’interno dell’area delimitata a nord dal vico Pallonetto a Santa Chiara, a sud dalla via Sedile di Porto, a ovest dalle strade Santa Chiara, Banchi Nuovi e Pendino Santa Barbara e a est dalla via Mezzocannone.
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Perché andare a Roma se si vuol vedere l’Antica Roma? Se i romani sono stati i conquistatori del mondo, Roma è dunque in tutto il mondo e lo è ancor di più in quella città greca non molto lontana, conquistata, nobile ed elitaria che tanto piacque a molti imperatori. Uno di questi fu l’imperatore Adriano passato alla storia soprattutto per il suo struggente amore nei confronti del giovane greco Antinoo.
Ed indovinate un po’ a chi fu dedicato un tempio pagano nel cuore del centro storico? Proprio allo sfortunato giovane che morì in circostanze misteriose annegato nel Nilo e per affermarlo con convinzione anche Giovanni Pontano nel’400 beh, allora c’è da crederci. I resti di questo tempio si troverebbero nella Basilica di San Giovanni Maggiore che si erge, a Napoli, accanto alla più famosa cappella Pappacoda, in quel Largo San Giovanni Maggiore oggi piazza brulicante di baretti e gioventù distratta.
San Giovanni Battista è dunque il titolare di questa chiesa e la sua presenza di predicatore incessante, si nota anche sulla grande controfacciata settecentesca di Giuseppe de Vivo. La speranza è che il santo possa irrompere quanto prima, anche fuori la chiesa, sulla piazza, chissà grazie alle sapienti mani di qualche Street artist talentuoso, che, seppur in chiave moderna, ne restituisca dignità e decoro. Nessuno fa molto caso a questa chiesa le cui vicende sono state piuttosto burrascose finché non è tornata ad essere una basilica liberata da incuria e difficoltà di gestione. Eppure stiamo parlando di una delle quattro chiese maggiori della città di Napoli, praticamente quando alcune cerimonie importanti non si facevano in cattedrale, si facevano qui.
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Ma dov’è la grandezza di Roma e del mondo antico? Quando si entra, balza immediatamente agli occhi l’abside paleocristiana con due altissime colonne in marmo cipollino con capitelli corinzi. È qui che una testa del giovane Antinoo è stata ritrovata ed è qui che, secondo antica tradizione, sarebbe conservato anche il sepolcro di quella sirena che non resse al dolore per un unico canto fallito: Partenope. Nella lapide ritrovata e oggi posta dietro l’altare del crocifisso, si invoca addirittura la protezione dell’Altissimo per colei che è definita Dea Madre (Parthenopem tege fauste. Proteggi felicemente Partenope). Beh, basterebbe questo a fare di questa chiesa la prima vera tappa obbligatoria di napoletani e turisti. Luogo di pellegrinaggio da raggiungere a piedi (e pure scalzi!) come si fa per la Madonna di Pompei. Il tempio pagano, per volere di Costantino, nel IV secolo, divenne successivamente basilica cristiana. Il resto lo fecero nel tempo i Normanni, gli Angioini, i rifacimenti barocchi, i terremoti, i lavori di restauro e saccheggi vari. Fortunatamente, dopo interventi vari, la chiesa è nuovamente parrocchia viva ed attiva.
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La scrittrice francese Marguerite Yourcenar pubblicò la prima edizione del suo libro-capolavoro Memorie di Adriano (Mémoires d’Hadrien, Ndr) nel 1951 con l’editore parigino Plon.
La composizione dell’opera la impegnava in realtà da oltre trent’anni: era iniziata, infatti, nel lontano 1924 come riportano le annotazioni custodite nel taccuino di appunti dell’autrice, il famoso Carnet des Notes per le Mémoires . Il progetto di scrittura fu più volte ripreso e interrotto, per poi essere abbandonato definitivamente tra il 1939 e il 1948.
L’ispirazione tornò improvvisa quando la scrittrice ricevette una valigia piena di lettere e carte di famiglia abbandonate in Svizzera durante la guerra. Smistando quei fogli dimenticati ritrovò inaspettatamente un frammento del manoscritto perduto. Proprio da quel piccolo appunto ritrovato ebbe inizio la scrittura, che stavolta procedette impetuosa e ininterrotta, debordando dalla sua mente come lava vulcanica.
Nei preziosi Taccuini di appunti, pubblicati per la prima volta in appendice all’edizione italiana Einaudi del 1988, Marguerite Yourcenar scrisse: “Questo libro è stato concepito, poi scritto, tutto o in parte, sotto diverse forme, tra il 1924 e il 1929, tra i miei venti e venticinque anni. Quei manoscritti sono stati tutti distrutti”.
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