Ha deciso di togliersi la vita, perché non riusciva a essere se stessa. Chiara, una ragazza trans di 19 anni, si è suicidata nella sua casa di Piscinola, in provincia di Napoli, quando la madre non c’era.
In classe era stata bullizzata dai compagni, e aveva lasciato la scuola: «Mi ridicolizzavano, non ce la facevo più». A 17 anni si era rivolta agli operatori del Gay Center di Roma. In una lettera aveva scritto: «Perché devo soffrire se voglio mettere un rossetto e truccarmi? A volte mi chiedo cosa ci sia di sbagliato in me. In fondo sono sempre un essere umano. Io mi sento una donna, voglio riconoscermi, vestirmi da femmina e non da maschio. Vorrei avere più spazio, essere tranquilla e non avere paura. Mi sento in un labirinto senza uscita».
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Le capitava di essere insultata per strada, e agli operatori del Gay Center chiedeva, piangendo: «Cosa c’è di male o di sbagliato se voglio uscire con una gonna o un vestitino? Mi rivolgono frasi violente, aggressive. Non mi sento al sicuro». Alessandra Rossi, la responsabile del Gay Help Line, l’aveva aiutata a presentare una denuncia attraverso l’Osservatorio interforze del ministero degli Interni contro gli atti discriminatori.
Chiara – la cui famiglia, in un primo momento, non aveva accettato il coming out – era stata accolta in una comunità per minori a rischio, ma a 18 anni aveva deciso di tornare a casa. Nel frattempo, anche i suoi familiari avevano fatto un percorso per accoglierla.
A settembre era stato richiesto un supporto psicologico all’Asl, ma il primo appuntamento era stato fissato per il 21 dicembre. Una data troppo lontana, come conferma Daniela Falanga dell’Arcigay di Napoli. «Ho conosciuto Chiara e addolora che non possa più essere ascoltata da chi poteva aiutarla ancora. L’abbiamo seguita, coinvolta in una rete di sostegno importante. Al consultorio le era stata fornita una relazione psicodiagnostica con la richiesta di uno psicologo di base. Ma non tutto funziona come dovrebbe. La legge 35 del 2020 è attuata con lentezza dal sistema sanitario. I tempi dell’Asl sono purtroppo ancora lunghi. Un’attesa insostenibile, la figura dello psicologo di base in casi di estrema fragilità è fondamentale».
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La strada per chi denuncia è in salita, in particolare per i ragazzi minorenni, come spiega il Gay Center: «L’assenza di protocolli di protezione e allontanamento immediato dagli autori delle violenze, il lungo ed estenuante percorso della giustizia che spinge le giovani vittime a giustificarsi, la mancanza di comunità per minori che accolgono ragazze e ragazzi trans sulla base della loro identità del genere e non del sesso, il rischio di essere vittimizzati da operatori impreparati ad accogliere le identità senza pregiudizi. Tutto questo Chiara aveva dovuto e saputo affrontarlo. Ci era passata attraverso. Ma non ce l’ha fatta».