Hirad Sokhangou, attivista e membro della comunità Lgbtqi+, ha lasciato Teheran pochi mesi fa ed è arrivato a Venezia con un programma di ricerca in management alla facoltà di Economia aziendale all’Università di Ca’ Foscari.
«Per la comunità Lgbtqi+ vivere oggi in Iran è una tragedia. I nostri compagni vengono arrestati. Zahra Sedighi-Hamadani e Elham Choubdar, due attiviste del movimento, stanno attendendo l’esecuzione della pena capitale “per corruzione sulla terra” a Urmia. E anche se al momento la sentenza è stata sospesa, è solo rimandata. Purtroppo ci sono molte Zahra e molte Elham nelle carceri iraniane».
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Dopo la rivoluzione del 1979, è stato ripristinato il codice penale del 1914 e l’omosessualità è considerata un reato punibile in alcuni casi anche con la pena di morte. Ma il regime di Ali Khamenei ha stretto le maglie: le due attiviste sono state catturate mentre cercavano di scappare in Turchia. «E la comunità Lgbtqi+ è braccata», prosegue Hirad, «se oggi vivere in Iran per la generazione Z è difficile, per noi è impossibile».
Molto scalpore ha destato nella comunità italiana l’appello alla mobilitazione delle forze culturali da parte del regista Asghar Farhadi. «Ci dissociamo dalle parole di un intellettuale da sempre vicino al potere» hanno spiegato gli studenti citando i casi di intellettuali reclusi a Teheran come Jafar Panahi, vincitore del premio della critica al Festival di Venezia e attualmente in carcere e di Mohamad Rasoulof.
I dati delle sentenze di morte nella Repubblica Islamica sono allarmanti. Secondo Amnesty International, tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2022 sono state condannate a morte e uccise 251 persone, molte delle quali in seguito a processi sommari.
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«Nei primi 6 mesi del 2022 le autorità iraniane hanno eseguito almeno una condanna a morte al giorno. Lo Stato sta portando avanti uccisioni di massa nel Paese in un orrendo attacco al diritto alla vita», ha detto Diana Eltahawy, vice direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa.