“Era la mia professoressa, è stata ammazzata dal pregiudizio di una comunità retrograda. Mi sento inerme dinanzi a questa cattiveria inammissibile” afferma Sara Mazzonetto, oggi 21enne, a la Repubblica.it in un’intervista dove ricordando Cloe Bianco, la docente trovata morta carbonizzata nel suo camper, in provincia di Belluno.
La storia di Cloe, la prof transgender che si è data fuoco: la scuola la sospese dopo il coming out
In questi giorni è riapparsa una lettera in cui, nel 2015, il padre di un’alunna, con toni forti, denunciava all’assessore regionale all’istruzione il disagio provocato dall’arrivo in classe del docente di fisica con abiti femminili. Cosa successe realmente quel giorno?
“Eravamo a metà del primo anno scolastico, quando il professore arrivò in classe vestito da donna. Era la prima ora, arrivai un po’ in ritardo e vidi un capannello di compagni che usciva dal laboratorio ridendo a crepapelle. Entrai, stranita, ma mi resi conto che quella loro reazione era spropositata”.
Eravate a conoscenza della sua transizione di genere?
“Nessuno sapeva nulla, non avevamo mai avuto alcun sentore. Avevamo notato che portava le unghie lunghe, ma credevamo suonasse la chitarra. Con noi alunni era sempre stata sorridente, pacata e disponibile. Come ha continuato ad essere, semplicemente indossava abiti femminili”.
Per tale motivo, però, fu giudicata pesantemente da tanti suoi compagni, ma anche tra i docenti?
“Quel primo giorno, con serenità, ci spiegò cosa l’aveva portata a quel cambiamento. La discriminarono subito, anche i colleghi la guardavano con disprezzo. Quando scoppiò il caso tutti le voltarono le spalle. Alcuni docenti, addirittura, si sfogavano con noi dicendo che aveva rovinato la reputazione della scuola”.
I genitori degli alunni, invece, come reagirono?
“Fu una vergogna: tanti che, fino a quel momento, non erano mai andati ai colloqui di fisica perché la reputavano una materia inutile all’istituto agrario, tutto d’un tratto iniziarono a fare lunghe code per vederla come se fosse l’attrattiva del circo e schernirla”.
E l’istituzione scolastica non intervenne, anzi la allontanò dall’insegnamento. A suo parere, che azione sarebbe stata necessaria per normalizzare la situazione?
“Secondo me, sarebbe bastata una circolare in cui ci avvisavano che, da quel giorno, ci saremmo dovuti rivolgere alla docente al femminile. E, magari, per sensibilizzare maggiormente noi alunni, avrebbero potuto prevedere lezioni sull’identità di genere che, spesso, proprio a causa di retaggi culturali, è ancora un argomento tabù”.
Un silenzio assordante proviene anche dalle istituzioni?
“Già, purtroppo, in Veneto, siamo indietro in merito ai diritti Lgbt+. C’è gente che non manifesta la propria identità per timore di essere disprezzato e isolato, come è capitato alla nostra professoressa. Che io sappia non ci sono associazioni né eventi a tutela dei diritti delle minoranze”.
Qual è il suo rammarico?
“Con il senno di poi, mi rattrista non essere riuscita a mostrarle la mia vicinanza, a dirle anche soltanto “mi dispiace”, ma ai tempi ero poco più che una bambina. Poi non l’ho più vista, finché la triste notizia mi ha confermato che non era scappata a farsi una nuova vita, come speravo per lei, ma era stata abbandonata dall’intera società, a cui ha dedicato l’ultimo amaro saluto sul suo blog, il suo unico spazio di libertà, segreto”.
Da: Repubblica.it