“Il segno più evidente dell’umiltà è la prontezza nell’obbedienza.” (San Benedetto)
Frase più ideale non potevamo scegliere per raccontare la storia e le sofferenze di vita di Alessio, un giovane uomo che ha vissuto e sta vivendo due vite. Oggi per tutti Alessio è un commesso, un amico, un figlio. Un normale uomo di 40 anni. Ma non tutti sanno (perché non è facile ancora oggi per Alessio parlarne), che non appena quattro anni fa era “Fra Ludovico”. Per 20 anni ha vissuto in un monastero di clausura.
Oggi Alessio ha voglia di sentirsi libero e “leggero”, come lui stesso ci ha raccontato. Ma soprattutto ha voglia di raccontare il proprio disagio verso una vita che sentiva sua, verso un percorso che lui aveva scelto e verso una comunità che l’ha messo ai margini. Una comunità a cui lui aveva affidato la sua vita.
“I confratelli sono stati per me come una famiglia. La mia famiglia”, spiega Alessio, “Loro mi hanno cresciuto e voluto bene, secondo i loro criteri. Sono stato un ragazzo non compreso.”
Entrare in monastero a soli 23 anni e uscirne (di tua spontanea volontà) dopo 20 anni, io la racconterei come una storia “Coraggio”. Cosa ne pensi?
Sono d’accordo perché ho avuto coraggio a cambiar vita. A molti può sembrare un paradosso perché, generalmente, chi lascia il mondo esterno e si dedica alla vita monastica è un uomo coraggioso. Per me è avvenuto il contrario. Restare per anni in un ambiente che mi ha accolto e dove ho subito tante frustrazioni psicologiche, non è stato semplice. Uscirne per reinserirmi nel mondo è stato ancora più difficile, quindi la vedo come un atto di coraggio.
Per te è stato come perdere una famiglia?
I confratelli a modo loro mi hanno voluto bene. Per me era la mia famiglia, mi hanno cresciuto e ripeto mi hanno voluto bene, ma il problema è stato l’abisso generazionale che ci divideva. Sono stato un ragazzo non compreso su diverse cose e su tanti aspetti tipici di chi ha venti anni. Quindi sulla normalità.
Ti manca la vita monastica?
Mi manca ancora, non lo nascondo, anche se sono passati quattro anni da quando sono fuori. Mi manca un determinato modo di vivere, come veniva scandita la mia giornata. Ma nulla toglie che io non possa farla anche fuori, infatti continuo ad andare a messa e a pregare, portando avanti così la mia vocazione cristiana.
Come la descriveresti la vita monastica?
Se vissuta bene è una vita particolare, che non può essere vissuta fuori del monastero, ciò che si può portare avanti è un proprio percorso di vita cristiana, cercando (per quanto possibile) di vivere bene nonostante le nostre fragilità.
Ad oggi cosa ti sentiresti di consigliare ad un giovane che vuol intraprendere il cammino della vita monastica?
Consiglierei di non aver fretta, perché se davvero Dio vuole per te quella strada, quella sarà. Una vita che mi ha dato vita, ma che m’ha tolto anche tanto.
Quindi tu condanni la vita religiosa e sacerdotale?
No io non la condanno, ma dico a chiunque voglia intraprendere questo percorso che non . Se ad oggi io ne sono uscito è stato grazie alla mia determinazione, al mio coraggio e alla grazia di Dio. Solo grazie a lui, a Dio, che oggi sono riuscito ad adattarmi al mondo normale, non dimenticando però quella che è stata la mia vita. Il mio desiderio più grande è di raccontare e far conoscere la mia esperienza.
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