“Quella voce è stata lì con me per tanto tempo. Anche quando cantavo mi costringeva a cambiare la desinenza degli aggettivi (‘Bella’ invece di ‘bello’, ‘lontana’ invece di ‘lontano’, ‘vicina’ invece di vicino’). Poi, ad un certo punto, quasi per ribellarmi a questo opprimente bisbiglio, ho iniziato a ritenere che la mia sessualità fosse un fatto del tutto irrilevante per il mondo”.
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“Ricordo di aver pensato ‘Non parlo delle mie scelte non perché ho paura o voglio nascondermi. Semplicemente non ne parlo perché non serve’. Ho pensato che il silenzio fosse una dichiarazione di parità superiore a qualsiasi cosa. Mi sbagliavo. Ho pensato che il mio percorso individuale fosse solo una questione personale. Mi sbagliavo. L’amore non è mai questione personale“.
“Tutti gli anni di nascondigli sono stati anni che hanno contribuito inavvertitamente a costruire quella macchina di paura che nasconde il sapore del primo bacio. Ho perso troppe occasioni per rompere quel meccanismo e iniziare a parlare la lingua della libertà e dell’espressione individuale. Chi ama ha il dovere di raccontare al mondo la presenza dell’amore. Chi conosce il sapore dei baci deve cantarlo, dipingerlo, metterlo in scena affinché tutti ne sentano la reale fragranza”.
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“Ho capito che l’amore è un atto pubblico. Che cambiare la desinenza degli aggettivi nelle canzoni o riscrivere i ricordi è un atto di paura. L’omofobia non è un insulto alla sessualità, ma è una bestemmia contro la parola amare. Chi è pronto, racconti l’amore senza vergogna. Chi ha bisogno di tempo, si senta protetto il cambiamento del mondo avviene sempre attraverso gesti sottili. Parlare d’amore è uno di questi gesti. Perché l’amore non parla mai la lingua della paura“.