Abbiamo già avuto modo di conoscere Miriam Morden e la sua storia che sembra uscita da un romanzo.
Negli anni Settanta, Miriam non si chiamava Miriam ma Laura e viveva in una Bologna ricca di artisti e di personalità preziose. Erano gli anni dei grandi cantautori ma anche del rock ‘n roll, di Dalla e De André come dei Beatles.
Molte di quelle persone che popolavano una Bologna bella, colorata, artistica e sensibile, Miriam le conosceva bene, lei che da sempre era alla ricerca di emozioni e di anime rare, che potessero incontrarsi con quella di Laura che, la quale viveva il desiderio di essere donna in un corpo che ancora non si piegava ai suoi desideri.
La storia di queste amicizie è spesso una storia di trasgressione, di piaceri e vizi ma, soprattutto, di quella memoria affettiva che dopo quarant’anni ha portato Laura, divenuta nel frattempo Miriam, qui, fra queste righe, a ricordare.
I suoi occhi brillano quando parla di una sua cara amica finita vittima di quegli anni. “Anni maledetti – dice Miriam – anni catartici per chi viveva intensamente la ricerca di una pace interiore. Anime preziose. E come vale per il cristallo, anche per questi giovani, essere «preziosi» significava «fragili»”.
Infatti, per molti, il prezzo da pagare fu il più alto: la vita. “Cadevano come mosche”, ci racconta un’emozionata Miriam, “togliendosi la vita da un giorno all’altro. Non ce la facevano più. E la prima a cui la vita ha voluto spezzare le ali è stata proprio Anna, la mia amica del cuore”.
Viene da chiedersi: cosa ha salvato Miriam, o meglio Laura, da una fine altrettanto terribile? La risposta ce la fornisce Miriam stessa: “Niente e nessuno. Semplicemente, Laura non è stata salvata. Laura è morta il […] sulla strada […]”.
È Miriam a raccontarci il suo «addio» a Laura: “Era sera. Avevo già in testa un piano, il più semplice di tutti, uno di quei piani dove non ti puoi sbagliare: morire. Andarmene per sempre. Salutare i miei genitori fu molto difficile. Se mi fossi fermata troppo di fronte a loro sarei scoppiata a piangere. Alla fine sono uscita e sono salita subito in macchina. Sono sempre stata un’appassionata di automobili. Forse, da una trans, in molti si aspettano una passione per gli smalti o il trucco. A me piacevano le automobili. Avevo una Diana a cui ero molto affezionata. Ho iniziato a guidare. Non so bene cosa avevo in testa: stanchezza, tanta stanchezza, quella sì. Era difficile sentirsi incompleti, una metà di qualcosa che, allora, ancora non esisteva. Andò come doveva andare. L’incidente lo cercai io e fu terribile. Quando ero oramai pronta ad andarmene per ritrovare la mia Anna e gli altri amici perduti in quegli anni… ho sentito nelle orecchie, nella testa e nel cuore, la voce di quelli che potrei definire «angeli». Era un vero e proprio «coro angelico» quello che avvertivo. Mi chiamavano. La mia storia non doveva finire lì. Ma la mia Diana… quella non esisteva più, anche se, anni dopo, ne ho comprata una uguale. Identica. Ogni tanto guardo le fotografie scattate all’epoca ai rottami e mi chiedo: come accidenti ho fatto a uscirne viva? Be’, in un certo senso qualcuno ce l’ha rimessa, la vita, quella sera. Laura, ovvero ciò che ero prima. E da quel giorno è iniziata a venir fuori Miriam, quella disposta a sentirsi finalmente donna, senza timori, e a intraprendere anche un percorso che non è affatto semplice”.
E la storia di Laura, in fondo, non è poi molto diversa da quella dei tanti giovani che in quegli anni si sono arresi.