Da: Libertà
“Se sei gay ti investo con il muletto”- il tutor di un’azienda si sarebbe rivolto con queste parole di minacce e disprezzo verso un piacentino di 28 anni assunto a settembre in una ditta della città, tramite agenzia interinale, come apprendista operaio. Il collega a cui il ragazzo sarebbe stato affiancato avrebbe più volte espresso giudizi e minacce sul suo orientamento sessuale anche in presenza di un testimone che avrebbe confermato il fatto.
“Alcuni giorni fa, dopo il licenziamento, sono tornato in azienda per chiedere spiegazioni e denunciare i soprusi – spiega il ragazzo – inizialmente il direttore non mi credeva, poi quando un collega coraggioso ha confermato la mia versione, allora si è ricreduto chiedendomi scusa. Non è stato facile, ma alla fine mi sono detto che qualcuno deve pure iniziare a denunciare queste discriminazioni”. Il 28enne ha deciso di affidare la propria storia alle telecamere di Telelibertà e al quotidiano Libertà affinché “altre persone trovino il coraggio di uscire dal silenzio che siano donne, uomini, gay o etero. Le violenze non hanno sesso”.
Il 28enne si è rivolto anche all’associazione Atomo Arcigay Piacenza. Il presidente Davide Bastoni commenta così: “Come associazione interessa segnalare come, purtroppo, ancora molti subiscono soprusi e discriminazioni sia sul posto di lavoro, sia in famiglia, ma non trovano la forza di denunciarli. Per questi motivi ci mettiamo a disposizione per chiunque volesse aprirsi in merito a discriminazioni ricevute”. Bastoni si rivolge poi al comune di Piacenza e in particolare al sindaco Patrizia Barbieri: “Vorrei sapere se possiamo contare sull’amministrazione per la lotta a questo tipo di discriminazioni e cosa intenda fare il Comune per contrastarle. Ci chiediamo anche se rientrerà nella rete Redi”.
Anche Donatella Scardi, presidente di Telefono Rosa, esprime la propria solidarietà al ragazzo discriminato: “Queste violenze verbali, molto simili alle violenze che subiscono le donne anche in ambiente domestico, sono purtroppo sottostimate perché esiste una difficoltà a denunciarle per paura e perché anche i testimoni spesso non sono disponibili a dichiarare quanto visto. Occorre una grande opera di sensibilizzazione, che deve per forza partire dalla scuola e dalle istituzioni”.
Da: Libertà