Da La Stampa.it
Fra le prime dieci del «Chi l’ha visto» delle grandi riforme italiane c’è di sicuro la legge contro l’omofobia, primo firmatario il sottosegretario Pd Ivan Scalfarotto, approvata dalla Camera il 19 settembre del 2013, trasmessa quattro giorni dopo al Senato e da quel momento sprofondata nel nulla, insabbiata da una valanga di emendamenti e dalla consapevolezza che gli equilibri di palazzo Madama non avrebbero mai permesso di approvarla.
Finita lì, quindi. E a pochi mesi ormai dalla fine della legislatura è chiaro che è finita del tutto, non esiste alcuna speranza: nemmeno i governi Prodi e Gentiloni sono riusciti a dare all’Italia una legge contro l’omofobia.
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«È una delle molte leggi votate alla Camera e non al Senato – spiega Ivan Scalfarotto – Ius soli, apologia del fascismo, cognome delle madri ai figli sono solo alcuni degli esempi di altre leggi votate a Montecitorio e mai passate a Palazzo Madama. Purtroppo al Senato il Pd da solo non ha i numeri e raramente abbiamo potuto contare, per l’approvazione di leggi sui diritti, sulla collaborazione delle altre forze politiche, a partire dai Cinque Stelle che hanno dimostrato con chiarezza in questo senso di essere una forza populista di destra».
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De profundis, quindi, per la legge contro l’omofobia e anche per la lotta contro una cultura che è sempre più presente nella società italiana. Marilena Grassadonia, presidente dell’Associazione Famiglie Arcobaleno ne è delusa ma non sorpresa. «Questa legislatura ha archiviato il tema dei diritti dopo il via libera alle unioni civili. È stato un grande errore. La legge contro l’omofobia è fondamentale, ogni giorno ci troviamo di fronte a casi di ragazzi e ragazze che hanno difficoltà a raccontare sé stessi. Hanno il diritto di crescere in serenità ma questo Paese non glielo permette. Anzi, gli episodi di omofobia in questi anni sono persino aumentati. Era prevedibile. La legge sulle unioni civili ha aiutato a portare alla luce le coppie omosessuali e ha costretto tutti a fare i conti con una realtà che fa parte della vita di ogni giorno. Ha però anche fatto emergere la parte più conservatrice degli schieramenti politici, delle associazioni e della società, quella che vuole bloccare questo processo di consapevolezza. Lo scontro si è fatto più aspro, i toni sono diventati molto più aggressivi. La politica deve capire che le unioni civili non bastano, che bisogna incidere nella cultura delle persone e deve assumersi la responsabilità di tutto questo con iniziative che partano innanzitutto dalle scuole. Purtroppo non ci sembra che si stia facendo molto in questo senso. Le linee guida presentate dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli sono vaghe e generiche, una dichiarazione d’intenti dall’impostazione sia politica che educativa e visibilmente segnata da compromessi e omissioni che rischiano di depotenziarne e svuotarne efficacia e significato».
Che il percorso della legge non sarebbe stato semplice era emerso fin dall’inizio. Già alla Camera c’erano stati scontri e discussioni anche aspre fino a far dimettere uno dei relatori. Il provvedimento però era stato approvato anche se non a stragrande maggioranza: con 228 voti, contrari 108 e astenuti 57.
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A votare a favore erano stati i deputati del Pd e di buona parte di Scelta Civica, ma aveva anche ricevuto parecchie critiche da destra e da sinistra per la questione dell’estensione anche all’omofobia e alla transfobia dell’articolo 3 della legge Mancino, la legge del 1993 che prevede un’aggravante della pena. Un problema che al Senato si è risolto alla radice. Insabbiando la legge.