Quando nel 2012, Dave Mullins e Charlie Craig varcarono la soglia della Masterpiece Cakeshop di Lakewook, in Colorado, non avrebbero mai immaginato che la torta nuziale loro negata sarebbe diventata il simbolo della battaglia per i diritti LGBTQ in America. Quel giorno il pasticcere protestante anglicano Jack Phillips rifiutò di confezionare il loro dolce per “motivi religiosi”: “Dio si vergognerebbe”, disse. Il suo “no” approda adesso alla Corte Suprema statunitense, che dovrà decidere se il rifiuto sia o meno lecito.
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Il verdetto sancirà un importante precedente per i diritti LGBTQ dell’intera nazione: contrapposti i sostenitori dei diritti civili e i difensori della libertà di espressione della fede, sancita dal Primo Emendamento della Costituzione. Condannato dalla Colorado Civil Rights Commission per avere violato le leggi contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale, Jack Philips aveva smesso di preparare torte. Se il prossimo ottobre la Corte Suprema dovesse pronunciarsi in favore del pasticcere, legalizzerebbe, di fatto, tale discriminazione anche in quegli Stati che in America tutelano in maniera esplicita i diritti LGBTQ sul luogo di lavoro e all’interno degli esercizi pubblici.
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Da quando la Corte Suprema ha legalizzato i matrimoni dello stesso sesso nel 2015, decine di esercenti hanno rifiutato di offrire servizi matrimoniali a rappresentanti della comunità LGBTQ. Tra loro, fotografi, fiorai, e altri pasticceri. I loro casi sono diventati terreno di scontro fra conservatori e progressisti, ma mai finora la Corte Suprema era stata chiamata in causa.